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                 haveva maggior inclinatione e devotione. Quarto. Che il Vescovo o i suoi mini-
                 stri in qualunque modo non ricevano alcuna cosa per tale dispositione, ancora
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                 per ragione di quarta .
                    Nonostante  queste  disposizioni  (discrezionalità,  consenso  degli
                 eredi, rispetto della presunta volontà benefica del defunto, rifiuto della
                 pretesa della “quarta”), la prassi e gli abusi in materia non furono in
                 alcun modo frenati, anzi, spinsero alcuni vescovi ad atteggiamenti
                 estorsivi, un palese abuso contro la personale e autonoma volontà degli
                 eredi dei morti intestati, che, sostenuti, in alcuni casi, con circostan-
                 ziati ricorsi, dagli stessi amministratori delle comunità locali, scatena-
                 rono, attraverso memoriali di denuncia (singoli o collettivi), una vera e
                 propria guerra al prepotere vescovile . Ed è in questo clima di conflit-
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                 tualità, che s’inseriscono gli scritti di carattere giuridico-religioso con
                 i quali alcuni vescovi (ma anche alti esponenti del mondo ecclesiastico)
                 analizzarono gli elementi teorici assunti a difesa, seppur a certe con-
                 dizioni, della pratica dei testamenti dell’anima.
                    Tra i vescovi che, per primi, intervengono nella questione figura l’or-
                 dinario della diocesi campana di Minori, Tommaso Zerola (1597-1603),
                 autore di una Praxis Episcopalis, edita nel 1599 per i tipi di Giorgio
                 Varisco . In tale lavoro, fondato sulla canonistica, sui decreti del Con-
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                 cilio di Trento e sulle bolle di vari pontefici, nonché sulle risposte della
                 Sacra Congregazione dei cardinali, all’ottavo dei 15 punti della voce
                 Legatum, si sostiene la legittimità del vescovo di disporre il testamento
                 dell’anima per coloro che non lo avessero fatto in vita, con la motiva-
                 zione che, in analogia con il fisco, che poteva appropriarsi dei beni
                 vacanti, a maggior ragione doveva ammettersi che lo facesse il vescovo
                 («Iudex spiritualis» e «pater pauperum») in una parte dell’eredità degli
                 intestati. Nel dettaglio, l’argomentare del vescovo è, prioritariamente,



                    29  Asn, Delegazione della Real Giurisdizione, vol. 199, fasc. 9, c. 9r. La questione della
                 «quarta, quae funeralium dicitur» era stata discussa nella sessione XXV (3-4 dicembre
                 1563) del Concilio di Trento (Decretum de reformatione generali, cap. XIII); Conciliorum
                 Oecumenicorum Decreta cit., p. 792.
                    30  Per il materiale relativo ai ricorsi e ai memoriali di denuncia (conservato in Asn,
                 Delegazione della Real Giurisdizione), cfr. anche B. Chioccarello, De Testamentis, quae
                 Regni huius Episcopi facere praetendunt pro iis, qui ab intestato decedunt (copia conservata
                 in Asv, Segreteria di Stato, Napoli, 529, vol. I, Di varie cose, t. XVII, cc. 38r-39r, 41r-v).
                    31  T. Zerola, Praxis episcopalis, prima - secunda pars. In qua, ultra quae a sacris Cano-
                 nibus, sacroque Concilio Tridentino decisa sunt, ea etiam quae per diversas bullas diver-
                 sorum summorum Pontificum, ac responsiones illustriss. cardinalium sacrae Congregationis
                 usque ad hodiernum diem circa id declarata, limitata, aut ampliata fuerunt, quam brevis-
                 sime continentur. Accesserunt nuper additiones locupletissimae, Giorgio Varisco, Venezia,
                 1599. L’opera venne riedita nel 1602 e, postuma, nel 1607.


                 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Aprile 2018       n.42
                 ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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