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Gaudioso (saggi)_4  25/04/18  11:47  Pagina 58






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                 e circostanziata della questione che, nei suoi termini generali, è così
                 presentata:

                    Consuetudo est in Regno Neapolitano in pluribus dioecesibus, quod Epi-
                 scopi faciunt testamenta ad pias causas his, qui decedunt ab intestato, etiam
                 quod relinquant haeredes; seu disponunt ad pias causas pro anima defuncti
                 de moderata quantitate bonorum defuncti: et nisi Episcopus, vel deputatus ab
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                 eo faciant testamentum, non sepeliuntur .
                    Il vescovo fonda la sua argomentazione sul fatto che la consuetudine
                 dei testamenti dell’anima era osservata in molte diocesi del Regno di
                 Napoli (come, del resto, aveva accertato l’indagine del 1580); e a tale
                 pratica si ricorreva anche nel caso in cui il morto intestato avesse
                 lasciato eredi e parenti. Un altro punto di forza dell’intervento eccle-
                 siastico consisteva nell’utilizzazione di una «moderata quantitate» dei
                 beni del defunto ad pias causas e pro anima. Quanto agli strumenti di
                 pressione, il Genovesi sottolinea che senza la disposizione vescovile o
                 di un suo delegato che, in nome del morto e con il consenso dell’ordi-
                 nario diocesano, facesse il testamento dell’anima, il corpo del morto
                 non poteva essere sepolto cristianamente.
                    Queste premesse sono utilizzate dal Genovesi per sostenere che una
                 siffatta consuetudine era «rationabilis» e si fondava «in refrigerio ani-
                 marum existentium in Purgatorio, in restitutione forsan male ablato-
                 rum [maltolto e pratiche usurarie]» 39  e, inoltre, «in praesumpta mente
                 testatoris». In tale prospettiva, la presunzione della volontà del morto
                 intestato poteva essere interpretata nel senso che «si casum inopinatae
                 mortis praevidisset, aliquid pro sua anima iuxta omnium generalem
                 consuetudinem reliquisset, etiam extarent haeredes» . In risposta alle
                                                                    40
                 tesi di chi sosteneva che la volontà del testatore non dovesse dipendere



                    38  Ibidem.
                    39  Ibidem. «Nei casi di esercizio del ius spolii a danno dei non religiosi, la quota del-
                 l’eredità legittima da destinare all’anima, comunemente detta mortuarium, veniva prele-
                 vata dalla massa ereditaria pro male ablatis incertis. Essa, dunque, non veniva impiegata
                 per l’esatta restituzione dei beni indebitamente appartenuti al defunto, se mai questi
                 avesse compiuto in vita acquisti illeciti (per usure, debiti inadempiuti, danni non riparati
                 o cose non restituite). In tali casi, infatti, era di norma premura dello stesso testatore
                 provvedere spontaneamente ad appagare i propri bisogni di coscienza, solo curando, per
                 ragioni di pudore, di non farlo direttamente, ma avvalendosi della collaborazione segreta
                 di un fiduciario. Al laico che moriva intestato, invece, veniva accollata dall’autorità eccle-
                 siastica la presunzione generica del peccato. Rispetto a essa, la devoluzione di almeno
                 una quota dell’eredità a scopi pii si rendeva necessaria per la salvezza ultra-terrena della
                 sua anima» (F. Treggiari, Minister ultimae voluntatis cit., pp. 313-314).
                    40  M. A. Genovesi, Praxis archiepiscopalis curiae Neapolitanae cit., p. 293.


                 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Aprile 2018       n.42
                 ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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