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In nome del morto. Vescovi e testamenti dell’anima nel Regno di Napoli (secoli XVI-XVII) 59
«ab alieno arbitrio», il Genovesi ribadisce che, nelle specie dispositive
ad pias causas, era legittima la «captatoria voluntas» e l’affidamento
alla «voluntati alterius» per disporre suffragi a favore dei morti intestati.
A sostegno di tale tesi, si ricorreva al diritto civile, secondo il quale
anche la «donatio causa mortis, quae est ultima voluntas, pendeat ab
alieno arbitrio». Al di là di ogni altra interpretazione, per Genovesi i
«testamenta, quae faciunt Episcopi, non sunt proprie testamenta», ma
«quaedam dispositio aliquorum bonorum defuncti pro anima illius ex
praesumpta mente eius, quae certius sit ab Episcopo Patre animarum,
quam ab haeredibus fieri soleat». Inoltre, se il fisco regio poteva succe-
dere al defunto ab intestato, in assenza di eredi legittimi, e distribuire,
in base alle costituzioni e alle consuetudini, una parte dei beni a favore
dei poveri, a maggior ragione doveva essere accettato che il vescovo
potesse prelevare dall’eredità una porzione per destinarla ad pias cau-
sas per l’anima del defunto intestato, perché il vescovo era anche «pro-
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tector omnium miserabilium personarum, qui debet illis subvenire» .
Nell’ambito della letteratura sulla difficile e controversa materia dei
testamenti disposti dall’episcopato regnicolo è da considerare anche
l’intervento di Giovanni Luigi Riccio (patrizio napoletano, canonico della
chiesa di Napoli e vescovo di Vico Equense dal 1627 al 1643), autore,
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nel 1619, di una Praxis aurea quotidianorum rerum ecclesiastici fori .
Sulla base della letteratura giuridica, delle sentenze dei tribunali e
delle decisioni della Rota Romana, e avendo come riferimento la Praxis
genovesiana, della quale segue alla lettera i punti argomentativi (fonda-
mento della prassi, il vescovo «protector miserabilium personarum» non-
ché «pastor et pater animarum»), il Riccio riconosce la piena legittimità
dell’«arbitrium episcopi» nelle disposizioni ad pias causas sui beni dei
defunti ab intestato, anche in presenza di eredi, se non diversamente
osservato per consuetudine della diocesi. Con riferimento alla propria,
ribadisce che in essa «adest immemorabilis consuetudo, quod quando
aliqui moriuntur ab intestato, Episcopi, qui sunt pro tempore solent
facere testamenta ad pias causas pro eorum anima» e che, inoltre, la
consuetudine ha forza di legge. Passa, poi, a esaminare il limite quanti-
tativo della disposizione vescovile («Usque ad quam quantitatem liveat
Episcopis disponere ad pias causas de bonis decedentium ab intestato»),
41 Ivi, pp. 294-295.
42 G.L. Riccio, Praxis aurea quotidianorum rerum ecclesiastici fori, in qua variae iuri-
dicae resolutiones ex approbatis traditionibus doctorum, atque diversorum tribunalium,
praesertim Rotae Romanae, decisionibus, excerptae, continentur […], Iuntas e Baba, Vene-
zia, 1646 [1 ed., Tarquinio Longo, Napoli, 1619].
a
n.42 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Aprile 2018
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)