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Civale (saggi)_3 14/12/18 09:31 Pagina 512
512 Gianclaudio Civale
suoi compagni e, dunque, ben motivato a mantenere occulto il proprio
nome. Infine, pare utile rilevare che lo stesso termine di «longuelliste»,
che tante volte ricorre nel libello, è una creazione del suo autore, non
riscontrabile in nessun’altra fonte; potrebbe pertanto configurarsi come
una manovra atta a sviare le attenzioni su di una personalità in fin dei
conti secondaria e riuscire così a depistare i sospetti su un personaggio
invece noto, cui anche Jean Léger era costretto a riconoscere una certa
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influenza, per quanto abietta .
Il Villanova era infatti un capo fazione e, sebbene sia presumibile
che come altri avesse preferito abbandonare temporaneamente le Valli
durante la “guerra dei banditi”, la sua singolare autorevolezza avrebbe
potuto permettergli di fruire di una prima rete di lettori, di preziose
fonti di informazioni su quanto era accaduto e infine di collaboratori,
indispensabili per completare la redazione e la stampa dell’opuscolo e
poi diffonderlo.
Tra costoro potevano esserci i sopravvissuti all’agguato di Villar, i
più volte richiamati Jean Vertu e il notaio Brezzi, ma anche altri, alcuni
dei quali presumibilmente occupavano posizioni di responsabilità: per-
sonaggi quali i sindaci della stessa località di Villar Daniele Albarea e
Daniele Violino che, convocati nel maggio del 1663, attraversarono la
valle in guerra per essere interrogati dal signore di Bagnolo, famigerato
per la spietatezza. A questi che, con modi aggressivi, chiese conto della
presenza di banditi nel villaggio, confessarono la loro impotenza poiché
«se dicessimo qualche cosa, o facessimo qualche cosa contra detti ban-
diti saressimo subito ammazzati»; ma quando, anche con la promessa
di ricompense, furono invitati a «farci delle spie», vollero declinare
adducendo che «la cattiva regola e la perversità del governo che vi è
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ora non lascia più un huomo da bene possa dir li suoi sentimenti» .
La risposta ben esprimeva la sfiducia nei confronti del sistema valdese
di governo sinodale, in cui, come si è visto, si era imposta la lettura scrit-
turalistica dei ministri più radicali. L’atteggiamento di questi sindaci, che
rifuggivano la violenza e tentavano di intavolare un difficile dialogo con
le autorità piemontesi senza tradire le proprie genti, in fin dei conti, è la
stessa assunta dai delegati valdesi ai negoziati di pace del 1655 e del
89 Léger, infatti, riconosceva che il Villanova, sebbene ingannandoli, era riuscito a
riunire un discreto numero di seguaci. Cfr. J. Léger Apologia cit., s.f.
90 Il Bagnolo aveva convocato i due sindaci perché aveva avuto notizia che «la commu-
nità et huomini del Villaro […] tanto privatamente che apparentemente prestano ogni aiuto,
favore et manforte tanto alli banditi di questa valle che ad altri». Prima di congedarli, ordinò
loro di avvertire la popolazione del villaggio di accorrere al castello per manifestare la propria
fedeltà al duca. Due giorni dopo, il 17 maggio 1663, il Violino notificò che con il collega
aveva effettivamente fatto bandire l’annuncio ma che «non ha il popolo voluto risolversi a
venire a V.S. Illustrissima a farsi conoscere per buoni». Conferences cit., pp. 62-65.
Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Dicembre 2018 n.44
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)