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L’eroe bandito. Ribellione, infamia e religione nelle Alpi Valdesi del ’600 513
1663-1664 e di quei «principaux des Communutez», descritti nel Grand
Barbe, che si rassegnarono ad accompagnare i loro compaesani nelle tra-
versie della guerra pur non condividendone le motivazioni. Come nella
Francia dei torbidi confessionali, si trattava di una posizione eminente-
mente “politica”, che all’elemento religioso e confessionale faceva preva-
lere un più pragmatico principio di convivenza che garantisse al sovrano
la propria autorità e alla minoranza uno spazio riconosciuto in cui pra-
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ticare la propria fede e una limitata autonomia di governo . Erano esat-
tamente gli stessi auspici che aveva espresso l’autore del Grand Barbe,
probabilmente Michele Bertram, nel proemio della propria opera dedicato
appunto alla pace raggiunta dopo le Pasque Piemontesi.
Al contrario, coloro che si allinearono a Jean Léger intravidero in ogni
compromesso al ribasso un pericolo per la religione e dunque per la
sopravvivenza stessa del popolo valdese; vagheggiarono, dunque, la rea-
lizzazione nelle Valli di un modello congregazionalista semirepubblicano
come passo per una più generale affermazione dell’Evangelo; in questo
cammino, ogni cessione, ogni tentennamento equivaleva a un tradi-
mento del dovere del cristiano. Gianavello, che raccolse la guida della
comunità dopo l’esilio del ministro, fu l’autentico campione di questa
visione di perseveranza nella fede, rendendosene interprete nella lotta
contro il nemico, rappresentato da quelli che il Léger, in un passo della
sua Histoire e certamente anche dal pulpito del tempio del Chabas, ebbe
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a definire i «nouveux Cananéens» . La punizione per costoro non poteva
che essere quella deuteronomica che ne prescriveva lo sterminio. Nel-
l’evocazione di questa rispondenza dei combattimenti biblici con le
guerre confessionali risiedeva la ragione religiosa dell’efferatezze di cui
anche i “banditi” furono attori. Il Signore, come arbitro dei destini umani,
infatti, si configurava come il vero protagonista di tutta la loro lotta, il
reale dispensatore della violenza spietata, ma senza odio, di cui i com-
battenti si rendevano strumento. Del compito di amministrare una supe-
riore giustizia, il bandito, in quanto “difensore delle Valli”, volle farsi
carico anche quando, come a Villar in quella Pentecoste del 1662, si
trattò di macchiarsi le mani del sangue dei suoi, degli oppositori interni
che, nella sua ottica, dovevano apparire tanto più riprovevoli quanto
erano riconosciuti traditori della testimonianza di fede che Dio aveva
comandato ai valdesi. Di quelle morti, eseguite per mantenere la purezza
91 Tra i tanti lavori dedicati ai politiques, per lo sguardo rivolto non esclusivamente alla
Francia, in questa sede ci si limita a rimandare ai lavori raccolti da T. Wanegffelen (sous la
direction de), De Michel de L’Hospital à l’édit de Nantes. Politique et religion face aux Églises,
Presses Universitaires Blaise Pascal, Clermont-Ferrand, 2002. Per le pratiche quotidiane
di convivenza e il ruolo svolto dalle autorità locali, cfr. B. Kaplan, Divided by Faith cit.
92 J. Léger, Histoire cit., tomo I, p. 189. Su questo punto, cfr. M. Laurenti, I confini
della comunità cit., pp.375-378.
n.44 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Dicembre 2018
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)