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nocive che provenivano «dai processi di putrefazione della materia», inne-
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scati da vari fattori, tra cui acque stagnanti e rifiuti . Molti ritenevano
inoltre che la peste si trasmettesse secondo le modalità indicate da Giro-
lamo Fracastoro, nel suo De contagione et contagiosis morbis et curatione
libri tres (1546): i ‘semi’ responsabili del male contagiavano un corpo
sano o per contatto diretto o per ‘fomite’ (un vapore vischioso, che si
attaccava a suppellettili e indumenti) o ad distans. Gatta, come già Bor-
relli, nega che dei fattori ambientali potessero causare la peste. Nella
premessa al lettore scrive infatti: «vedendo non rispondere a gl’effetti quel
tanto che da scrittori, e maggior parte di essi modernamente della
natura di Peste, e sua origine, effetti, e sintomi con loro scritti han publi-
cato, ho voluto sopra di ciò darvi anco il mio parere, e interpretatione,
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qual ho cercato come vedrai fondarla con dottrine, e raggioni efficaci» .
Dei testi letti sulla peste non a caso cita di frequente soltanto gli aforismi
di Santorio. Illuminante gli sembrava anzitutto l’aforisma che riguardava
l’origine del morbo: Peste non sponte inficimur, sed fertur ab alijs. Patet
experimento monalium (af. 129) . A differenza di quasi tutti gli autori
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che lo avevano preceduto, Santorio non riteneva che la peste nascesse
da sé, dall’acqua stagnante o dai rifiuti che ‘compromettevano’ l’aria, ma
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che dipendesse da «corpicelli» sottili e invisibili , introdotti da un amma-
lato. Tali ‘corpicelli’ (o «atomi»), muovendosi, erano facilmente assorbiti
dai sani o attraverso le narici o la cute.
Prima di Gatta, aveva negato che l’aria potesse portare la peste
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Giovanni Alfonso Borelli , il quale non cita gli aforismi sulla peste di
Santorio, ma li aveva letti. Rinvia infatti al De statica a proposito della
‘traspirazione sensibile’, il meccanismo per cui, secondo Santorio,
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tutti gli animali perderebbero peso ; inoltre, tra i suoi libri vi era una
75 J. Henderson, Epidemie, miasmi e il corpo dei poveri a Firenze nella prima età
moderna, «Storia urbana», fasc. 112 (2006), pp. 1-21.
76 Gatta, Di una gravissima peste, p. I, non num. Il corsivo è mio.
77 Ivi, p. 54; «Non diventiamo appestati da noi stessi, ma ci viene attaccata dagli altri:
si vede l’esperienza delle Monache»: in G. Ruozzi (a cura di), Scrittori italiani di aforismi
cit., p. 623.
78 Essi si dividono finché non giungono a parti indivisibili (pp. 35-37); Gatta parla
anche di «atomi di corpicelli» (p. 146). Si può vedere nell’uso di questo termine una trac-
cia della lezione galileiana? Di certo, le opere di Galileo erano lette e discusse da anni a
Napoli. Mi limito a ricordare i saggi in F. Lomonaco e M. Torrini (a cura di), Galileo e
Napoli, Guida, Napoli, 1987.
79 A. Borelli, Delle cagioni delle febbri maligne della Sicilia, per Gio. B. Rosso, Cosenza,
1649.
80 Da tutte le parti dell’‘animale’, scrive Borelli, «traspira un continuo profluvio di
parti gravi per i pori di tutto il corpo, come si manifesta dalla statica del Santorio»; ivi,
p. 158; Borelli cita Santorio anche a p. 130, negando che le febbri fossero tutte dipen-
denti da squilibri di umori, come credeva Galeno.
Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Dicembre 2018 n.44
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)