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                   L’aria innocente. Geronimo Gatta e le sue fonti                 601


                   copia dell’edizione del 1634 del De statica (quella appunto in cui com-
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                   paiono gli aforismi sulla peste) . Una traccia della sua lettura del De
                   statica può essere individuata nella prima parte del trattato (parliamo
                   di Delle cagioni delle febbri…), in cui nega che l’aria potesse essere in
                   qualche modo responsabile della peste, come sostenevano i galenisti.
                   A questo proposito, Borelli racconta di aver fatto un esperimento:
                   aveva posto una brocca con dell’acqua bollente in una boccia di vetro
                   e  l’aveva  chiusa  perfettamente.  Dopo  vari  giorni,  l’aveva  aperta  e
                   aveva respirato l’aria che da lì proveniva, vedendo che era pulitissima
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                   e non provocava alcun malessere . L’aria dunque non diventava cor-
                   rotta e perciò non poteva causare ‘febbri maligne’. La peste proveniva
                   piuttosto da una «facoltà pestilente, e velenosa», da «semi». Ma da
                   dove provenivano i semi? Borelli parla di esalazioni da «materie ter-
                   restri», che fuoriuscivano da miniere e gole profonde, per poi essere
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                   trasportate dal vento . È probabile che Gatta abbia letto il trattato
                   di Borelli e si sia rafforzato di più nelle sue tesi; va però tenuto pre-
                   sente che esclude esplicitamente che i semi potessero essere portati
                   dal vento; a suo avviso, essi erano sempre introdotti da qualcuno già
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                   infetto .


                   L’aria innocente

                      Consapevole del carattere dirompente della tesi di Santorio e sua,
                   Gatta cerca di sostenerla in più modi. Anzitutto, forse anche per pru-
                   denza, spiega che l’ipotesi ‘corpuscolarista’ si riscontrava già in nuce
                   nel galenico De differentiis febrium. In quel testo Galeno riconduceva
                   la formazione della peste a varie circostanze: la presenza di cadaveri
                   insepolti, un’estate particolarmente calda, acque stagnanti, ma dava
                   anche per scontato che la peste ad Atene (di cui aveva parlato Tucidide)
                   fosse stata portata dall’Etiopia, mediante semi invisibili . Oltre a ciò,
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                   Gatta precisa che Ippocrate e Galeno si erano perlopiù occupati di




                      81  Cfr. U. Baldini, Libri appartenuti a Giovanni Alfonso Borelli: un oggetto in fieri, in
                   Filosofia e Scienze nella Sicilia dei Secoli XVI e XVII, vol. I, cit., pp. 191-232: p. 219.
                      82  G.A. Borelli, Delle cagioni delle febbri maligne della Sicilia cit., pp. 53 sgg.
                      83  Ivi, p. 114. Mette bene in evidenza le novità della visione di Borelli sulle pesti (ato-
                   mismo e attacchi alla tradizione galenica) Oreste Trabucco, in Delle cagioni delle febbri
                   maligne di G.A. Borelli. Una lettura contestuale, «Giornale critico della Filosofia Italiana»,
                   20 (2000), pp. 236-280.
                      84  G. Gatta, Di una gravissima peste, p. 58.
                      85  Galeno, De Differentiis febrium in Opera omnia, editione curavit G. C. Kühn, tomus
                   VII, Georg Olms Verlag, Hildesheim-Zürich-NewYork, 1821, pp. 273-405; Galeno cita
                   Tucidide, Guerra del Peloponneso, II, 48. Gatta, Di una gravissima peste, p. 53.


                   n.44                         Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Dicembre 2018
                                                           ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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