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Dalessio (app)_7  14/12/18  09:32  Pagina 602






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                 morbi epidemici ‘perniciosi’, che potevano effettivamente nascere in
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                 condizioni climatiche sfavorevoli . Un conto era quel tipo di morbo (raf-
                 freddore, dissenteria, mal di gola) e un altro la peste, morbo «perpera-
                                                                             87
                 cuto», quasi sempre mortale, che aveva origine da corpuscoli . Se la
                 peste avesse origine da aria corrotta – spiega Gatta – tutti gli abitanti
                 di un paese si dovrebbero infermare respirando quell’aria, mentre que-
                 sto evidentemente non si verificava.
                    Si vedeva invece che chi si isolava sfuggiva alla peste; il caso delle
                 monache, ricordato da Santorio, era a suo avviso un esempio partico-
                 larmente calzante, perché appunto esse, ben isolate com’erano, non
                 contraevano il morbo (non a caso, il cardinale Filomarino si rifugiò nella
                 certosa di San Martino e sopravvisse alla peste e il nunzio apostolico
                 Giulio Spinola in un palazzo a Chiaia, ben chiuso ). Gatta nega quindi
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                 all’aria, all’acqua, al caldo ed altri fattori anche il ruolo di ‘cause prepa-
                 ratorie’ . Il suo punto di vista, nonostante le molte cautele, non lasciava
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                 margini ai galenisti. A Napoli – precisa poi – non si erano visti né «cada-
                 veri insepolti», né «acque stagnanti», né un’estate calda e siccitosa; al
                 contrario, la peste non si era diffusa in luoghi paludosi, perché erano
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                 stati ben custoditi dalle «guardie» . L’aria responsabile della peste era
                 solo quella che passava tra il termine «a quo, e il termine ad quem con
                 una debita distanza di vicinità fra essi doi termini predetti» , quella
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                 che, in altre parole, si riempie di «goccioline di espettorato», ricolme di
                 batteri e virus .
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                    È evidente, nel discorso di Gatta, non solo l’incidenza di ciò che
                 aveva osservato direttamente, ma anche un ‘abito mentale’ che si
                 riscontra anche in altre opere di quegli anni, che induceva a vagliare
                 accuratamente l’ipotesi che nasceva dall’osservazione dei fenomeni
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                 con la ragione e la dottrina . Val la pena infine notare come su que-
                 sta questione Gatta si differenzi non solo dai trattati relativi alle epi-
                 demie del 1575, ma anche da quasi tutti quelli scritti dopo il 1656,





                    86  Ivi, p. 52.
                    87  Ivi, p. 53.
                    88  L. Fumi, La peste di Napoli cit., p. 11 (testimonianza di Giovan Francesco Giorgetti,
                 che si rifugiò con il nunzio).
                    89  Gatta, Di una gravissima peste, p. 47a.
                    90  Ivi, pp. 60-61.
                    91  Ivi, p. 22.
                    92  Gatta sembra aver verificato la cosiddetta peste polmonare: C.M. Cipolla, Il pestifero
                 e contagioso morbo. Combattere la peste nell’Italia del Seicento, il Mulino, Bologna, p.
                 119; come è noto, erano altresì portatori del bacillo responsabile della peste (Yersinia
                 pestis) anche pulci e pidocchi.
                    93  Un modo di argomentare che ha delle analogie con quello che si riscontra in Il lago
                 d’Agnano utile et innocente cit. (soprattutto, p. 32).


                 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Dicembre 2018     n.44
                 ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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