Page 193 - 1
P. 193

Dalessio (app)_7  14/12/18  09:32  Pagina 605






                   L’aria innocente. Geronimo Gatta e le sue fonti                 605


                   Su messe e processioni

                       Proprio perché la peste era ‘portata’ da semi invisibili, scrive Gatta,
                   era indispensabile guardarsi da tutti, non soltanto dagli ammalati:
                   «parendono in tal tempo tutti sani, e di buon colore, e con la peste
                   addosso, ne capelli, barba, vesti, e altro». Era perciò necessario evitare
                   le chiese, frequentate più di altri luoghi in tempo di peste. Gatta cita
                   un altro aforisma di Santorio in merito: Cur diu durat Pestis? Quia non
                   prohibent populi cursum ad templa. Sub dio sacra essent exercenda 107 .
                   Le  messe  andavano  celebrate  all’aperto,  perché  vi  fosse  la  giusta
                   distanza tra una persona e l’altra e si potessero disperdere i veri veicoli
                   del contagio: «aliti, e expirati di contagiati, etiamdio incogniti» 108 .
                       Non era la prima volta che si sollevava la questione ‘processioni’ e
                   assembramenti in tempo di peste. Nell’importante Cultures of plague
                   di Samuel Cohn si legge che già Rocco Benedetti sostenne che le pro-
                   cessioni a Venezia, nel 1576, avevano avuto un chiaro effetto delete-
                   rio 109 .Per  quel  che  riguarda  Napoli,  le  funzioni  religiose  furono
                   indubbiamente i principali canali di diffusione della peste. Vari religiosi
                   zelanti fecero ‘uscire’ dalle chiese «immagini di venerazione» oppure le
                   esposero. Nella chiesa di San Domenico Maggiore, ad esempio, un certo
                   fra Andrea espose l’immagine della Vergine del Rosario, «la quale in
                   tutto questo tempo con ammirazione de devoti fu osservata con volto
                   mesto, e piangente». Frequenti furono poi le processioni in cui si giun-
                   geva anche ad autofustigarsi, come racconta, tra gli altri, il medico
                   Carlo Morexano: «il minore era andare vestiti di sacco, coverti di cenere,
                   e cinti di fune, stimando ancora per attione debole il battersi spietata-
                   mente con atroci discipline, si che il sangue scorreva loro per le spalle
                   a guisa di rivi» 110 .
                      L’impatto  negativo  di  questi  assembramenti  apparve  evidente
                   soprattutto dopo la processione che si tenne intorno alla metà di giu-
                   gno, verso la collina su cui doveva sorgere il convento voluto da Madre






                      107  Gatta, Di una gravissima peste, p. 6 e p. 102.
                      108  Ivi, p. 6.
                      109  S. Cohn, Cultures of plague. Medical Thinking at the end of Renaissance, Oxford
                   University Press, Oxford, 2010, p. 33; si riferisce a R. Benedetti, Novi avisi di Venetia, ne
                   quali si contengono tutti i casi miserabili, che in quella, al tempo della peste sono occorsi,
                   A. Benacci, Bologna, 1577, p. 11.
                      110  C. Morexano, Il torchio delle osservationi della peste di Napoli nell’anno M.DC.LVI
                   cit., pp. 18 sgg; in un’altra testimonianza (23 maggio), si legge che i fanciulli cammina-
                   vano «cinti di corde, con sassi al collo e corone di spine in testa»: P.L. Rovito, «Come le
                   roventi esplosioni del Vesuvio», «Rivista storica del Sannio», III serie, VI (1999), pp. 61-
                   124: p. 69.


                   n.44                         Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Dicembre 2018
                                                           ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
   188   189   190   191   192   193   194   195   196   197   198