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616 Guido Candiani
navale sia oggi ancora ben connessa alla sua udienza – personale
navale, politici, pubblico – come lo era stato in passato. La risposta
non sembra essere così ottimistica come la mole di pubblicazioni
potrebbe suggerire. La disciplina – che resta ancora troppo incentrata
sugli Stati Uniti e sull’Inghilterra e sulla prima metà del XX secolo –
si occupa troppo di battaglie, mentre la storia delle operazioni navali
può essere pienamente compresa solo qualora tutti gli attori coinvolti
siano sufficientemente analizzati, cosa che non avviene per molti dei
conflitti del passato. La forza di una marina non è determinata solo
dalla saldezza del suo sistema interno, ma anche dall’epoca e dalla
società in cui agisce, campi questi ultimi ancora poco esplorati, così
come andrebbe meglio esplorata la forza che una marina ha all’in-
terno della società in cui opera. Se alla fine del XIX secolo le marine
erano ben inserite nelle società del loro tempo, oggi non è più lo
stesso; il pubblico risulta estraneo ai temi del potere navale, proprio
mentre i costi di quest’ultimo aumentano in maniera esponenziale.
Sono problemi ai quali lo storico navale si dovrebbe dedicare con
maggior impegno.
Il secondo capitolo riporta indietro il lettore, con un’analisi dello
sviluppo del potere navale tra gli inizi del 1500 e la fine del 1700. Il
dominio in ambito storiografico della storia navale britannica – scritta
troppo spesso nella prospettiva navalista di fine Ottocento – ha pena-
lizzato le aree geografiche nelle quali la marina inglese operava con
minor intensità, quali il Mediterraneo e il Baltico, determinando dei
gravi fraintendimenti sulla natura dei conflitti in questi mari; così, ad
esempio, le tanto disprezzate galee avevano non solo ragioni opera-
tive, ma anche culturali e sociali, essendo considerate unità presti-
giose di fronte alle “plebee” navi da guerra a vela. Mancano inoltre
ricerche sulla composizione del corpo ufficiali e sugli equipaggi delle
flotte del Mar Baltico, cosa che, si può aggiungere, riguarda anche il
Mediterraneo. È interessante notare come siano studiosi inglesi (oltre
ad Harding, anche Nicholas Rodger pone con forza questi temi) a
criticare un approccio eccessivamente anglo-centrico, il quale carat-
terizza sovente anche la storiografia non anglo-sassone. L’anglo-cen-
trismo ha inoltre limitato i campi di ricerca, soprattutto relativamente
al periodo 1600-1650. Esso rimane poco studiato in quanto attrae
meno gli studiosi dopo i fasti (o supposti tali) elisabettiani e prima
delle vicende della guerra civile inglese e dello sviluppo della grande
flotta del Commonwealth. L’a. porta l’esempio della guerra dei Tren-
t’anni, per la quale l’aspetto terrestre beneficia di studi molto più
approfonditi rispetto a quello navale.
Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Dicembre 2018 n.44
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)