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Civale (saggi)_3  14/12/18  09:31  Pagina 479






                   L’eroe bandito. Ribellione, infamia e religione nelle Alpi Valdesi del ’600  479


                      Garantire la comunione al responsabile di quegli eventi delittuosi
                   avrebbe significato non soltanto propiziare la sua riconciliazione e l’ac-
                   coglienza entro i vincoli religiosi che legavano la comunità, ma anche
                   il riconoscimento della legittimità e della correttezza di quelle azioni e
                   la chiara ammissione del ruolo di guida e di giustiziere che Gianavello
                   si era ritagliato.
                      Consapevoli di tali gravi implicazioni, il locale ministro Bech e gli
                   anziani del concistoro dovettero consultarsi; infine, delegarono uno tra
                   i più venerandi e autorevoli di loro, Pierre Rouet, per comunicare al
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                   “bandito” la decisione di non ammetterlo alla Cena del Signore . Si
                   trattò di un pesante smacco per Gianavello, che dovette lasciare Villar
                   senza aver preso parte all’ufficio religioso, consapevole che non tutti
                   nelle Valli appoggiavano le sue scelte e che la sua condotta, lungi dal
                   proteggerla, aveva lacerato la medesima comunità di cui era divenuto
                   difensore.
                      L’esclusione dal rito sembrò segnare l’inizio della parabola discen-
                   dente per Gianavello, costretto nel giro di poco più di un anno all’esilio
                   a Ginevra, quando ormai era stato sfiduciato dallo stesso sinodo delle
                   Valli, a Inverso Pinasca nel gennaio del ’64, per iniziativa dello stesso
                   ministro che gli si era opposto in quella domenica di Pentecoste. L’epi-
                   sodio, dunque, non ebbe un rilievo soltanto sul piano simbolico, bensì
                   una diretta ricaduta nel successivo epilogo della cosiddetta “guerra dei
                   banditi”, che sconvolse le Valli valdesi dal 1659 al 1664. Nondimeno,
                   esso viene tramandato da un’unica fonte, un rarissimo opuscolo in un
                   francese sovente approssimativo titolato Le Grand Barbe ou Recit tres
                   veritable de ce que faict Iosue Ianavel dans les Valées de Luzerne, stam-
                   pato, come recita il frontespizio, nel 1666, senza indicazione né del-
                   l’autore, né del tipografo, né del luogo di stampa.
                      L’operetta  riveste  eccezionale  interesse.  Essa  costituisce  la  sola
                   manifestazione dell’opposizione interna al mondo riformato delle Valli
                   nei confronti della strategia di resistenza a oltranza portata innanzi
                   dalle autorità riformate; rappresenta, più in generale, una delle uniche
                   testimonianze di irriconciliabile dissenso sorto in seno alla comunità
                   valdese, che proprio dalla singolare coesione a lungo aveva tratto le
                   forze  per  assicurarsi  la  sopravvivenza  e  far  fronte  alle  periodiche
                   minacce. Ciò malgrado, soprattutto per via dei toni violentemente pole-
                   mici, infamanti e spesso calunniosi, il suo valore come testimonianza
                   storica affidabile è stato sovente disconosciuto dagli studiosi, quasi



                      3  L’esclusione, riporta sempre il testimone, fu accolta con rabbia e sdegno, al punto
                   che, per sfuggire alle ritorsioni, il vecchio Rouet dovette in seguito rassegnarsi ad abban-
                   donare le proprie terre per rifugiarsi oltre confine, in Francia. Le Grand Barbe cit., § 12,
                   p. 15.


                   n.44                         Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Dicembre 2018
                                                           ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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