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                 l’assunzione di un autonomo ruolo politico tra i contendenti. Né l’esi-
                 stenza di questo labile confine riuscì a spezzare le forti solidarietà esi-
                 stenti tra le comunità che sorgevano ai due lati della linea, cementate
                 dal riconoscimento di un comune passato apostolico e di una mede-
                 sima scelta confessionale.
                    La consapevolezza dei valdesi di far parte di una tradizione che si
                 riallacciava alla chiesa primitiva, un primato che vollero ribadire an-
                 che nelle loro confessioni di fede, aveva contribuito a generare la co-
                 scienza di costituire un’avanguardia del più generale movimento di
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                 Riforma cristiana . Il “patto d’unione”, saldato nell’agitata temperie
                 della prima ribellione antisabauda del 1561 e poi periodicamente ri-
                 badito, aveva sancito l’eterna alleanza «faite par tout le peuple Vaudois
                 demeurant aux vallées et montagnes de Piémont et Dauphiné»; aveva
                 dunque impegnato i contraenti a mantenere «la pure prédication de
                 l’Evangile», a soccorrersi vicendevolmente e a «rien transiger, ni ac-
                 corder sur le faict de la Religion, sans le consentement des autres
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                 vallées» .  L’attivazione  di  questa  confederazione  politica  di  natura
                 confessionale, che si sovrapponeva ai confini degli stati nel comune
                 riconoscimento  dell’appartenenza  al  «peuple  vaudois»,  rivestì  ecce-
                 zionale importanza nell’assicurare la sopravvivenza dei valdesi du-
                 rante i tanti scontri che li videro protagonisti tra ‘500 e ‘600. Come
                 nel 1655, essa si rivelò vitale soprattutto per i Piemontesi che, nei
                 momenti più gravi delle persecuzioni intentate dai Savoia, poterono
                 contare sul soccorso in denaro, approvvigionamenti e soprattutto ar-
                 mati da parte dei loro correligionari delfinenghi.
                    Grazie anche all’atteso rinforzo di combattenti francesi, Gianavello
                 riuscì quindi a condurre la campagna di rientro in cui, adottando tat-
                 tiche di schermaglia che annullavano lo svantaggio numerico, riuscì a
                 ottenere una serie di sorprendenti successi che obbligarono le truppe
                 di occupazione a ripiegare sulle posizioni di partenza.
                    Il reciproco sostegno politico, economico e militare tra gli abitanti
                 delle valli ai lati della frontiera, nella pratica, condannò al fallimento
                 ogni iniziativa repressiva che non potesse contare sull’attiva e perdu-
                 rante collaborazione tra i sovrani di Francia e Savoia. Tale condizione
                 aveva tra l’altro sancito la precoce internalizzazione del problema val-
                 dese rendendo di fatto qualsiasi operazione che si intendeva di “polizia




                    14  Sui molteplici aspetti religiosi ed economico-sociali che davano coesione alle Valli
                 valdesi, ancora valide sono le osservazioni di A. Armand Hugon, Popolo e chiesa alle Valli
                 dal 1532 al 1561, Bssv, 110, 1961, pp. 5-34; S. Peyronel, «Morire piuttosto che obbedire»
                 cit., pp. 46-65.
                    15  Cfr. G. Peyrot, Il Patto dell’unione del 1561, in E. Balmas (a cura di), I valdesi e
                 l’Europa, Claudiana, Torino, 1982, pp. 203-241.


                 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Dicembre 2018     n.44
                 ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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