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Civale (saggi)_3 14/12/18 09:31 Pagina 486
486 Gianclaudio Civale
e fermezza espresse dai valdesi nella loro lunga «parabola di resistenza
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all’oppressione e lotta per la libertà di coscienza» .
Un “bandito sociale” hobsbawmiano si sarebbe tentati di definirlo
quasi istintivamente, se non fosse che lo stesso creatore di questo
archetipo storico, dinnanzi ai fondati rilievi che gli erano mossi, abbia
dovuto ammettere che, in buona sostanza, non sono le imprese a defi-
nire il “bandito sociale”, bensì la sua tradizione, la trasposizione dei
significati nella graduale costruzione di una memoria collettiva . Si è
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arrivati così a definire un comune “Robin Hood Principle”, una sorta
di paradigma che consente, nel suo consolidarsi, la pressoché totale
cancellazione del ricordo di qualsiasi gesto possa contraddire l’imma-
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gine idealizzata del bandito .
La sorte toccata a Gianavello sembra aderire a questo schema. Come
quella di molti altri, la sua leggenda è legata a un potente sentimento
di identità religiosa e comunitaria e la sua storia è familiare a chi ap-
partiene al suo stesso gruppo; essa è emersa allorquando i caratteri
peculiari, il senso di appartenenza e l’esistenza stessa di tale comunità
si trovavano in pericolo, oltraggiati, vilipesi. La scelta di ribellarsi è sof-
ferta conseguenza di un’ingiustizia subita dall’eroe, dotato di peculiari
qualità di coraggio, oltre che spesso di qualche abilità fuori dal comune,
soprattutto nel maneggio di un’arma caratteristica come, appunto, la
colubrina, di cui Gianavello sembra fosse esperto. La sua lotta nei con-
fronti delle autorità è dunque investita di speciale rappresentatività da
parte del proprio gruppo, che non solo non vi riconosce azioni criminali
o immorali ma, al contrario, vi ravvede rettitudine, esigenza di giustizia
e protezione dei più deboli. Sebbene contro ogni previsione l’eroe si
riveli inizialmente vincente, alla fine è condannato alla sconfitta, sovente
per effetto del tradimento dei suoi, incapaci di resistere alla superiorità
e alla brutalità dell’avversario. La sua morte, che può essere anche
solo simbolica e realizzarsi nella fuga e nell’esilio, assume immediata-
mente valore emblematico e gli permette di continuare a svolgere un
magistero morale ben oltre la scomparsa dalla scena reale, mediante
l’innestarsi di un processo mitizzante che, depurando il racconto della
19 Cfr. B. Peyrot Giosué Gianavello. Il leone di Rorà, Claudiana, Torino, 2001, pp. 50-54.
20 Per un quadro del dibattito sollevato dalla pubblicazione dei lavori di Hobsbawm,
si veda almeno R. W Slatta, Eric J. Hobsbawm’s Social Bandit: A Critique and Revision,
«A Contracorriente. A Journal on Social History and Literature in Latin America», 1,
2004, pp. 22–30. Per le reazioni che la proposta interpretativa dello storico inglese ha
sollevato in Italia, si vedano gli interventi riuniti in G. Ortalli, Bande armate, banditi,
banditismo e repressione di giustizia negli stati europei di antico regime. Atti del Convegno,
Venezia, 3-5 novembre 1985, Jouvence, Roma, 1986.
21 Cfr. G. Seal, The Robin Hood Principle: Folklore, History and the Social Bandit,
«Journal of Folklore Research», 46, 2009, pp. 67-89.
Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Dicembre 2018 n.44
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)