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L’eroe bandito. Ribellione, infamia e religione nelle Alpi Valdesi del ’600 497
limitata che, per i contenuti evidentemente compromettenti, non
poteva essere venduta, bensì distribuita tra una cerchia ridotta di fidati
conoscenti oppure, addirittura, abbandonata segretamente in luoghi
dove casuali lettori avrebbero potuto ritrovarla.
A dispetto delle posizioni dei ministri, era infatti ovvio che vi fosse
chi era favorevole a stabilire un modus vivendi tra cattolici e riformati,
interessato al mantenimento della pace in base a naturali considera-
zioni circa la stabilità e il perseguimento della prosperità. Le tensioni
esistenti tra taluni che si dimostravano propensi al compromesso e i
ministri arroccati su posizioni maggiormente radicali contribuiscono a
spiegare come mai alcuni tra i pastori più importanti, sia Pierre Gilles
a lungo segretario e poi moderatore negli anni ’20 del XVII, Antoine
Léger durante la fase più acuta della Guerra dei Trent’anni e, infine, il
nipote Jean Léger negli anni delle Pasque Piemontesi furono tutti autori
di importanti testi di carattere storico e politico. Come è stato accen-
nato, se, per un verso, queste opere erano tese a sensibilizzare l’opi-
nione riformata sulle angherie e i pericoli di cui erano vittime i valdesi,
d’altra parte intendevano anche assolvere a un importante ruolo di raf-
forzamento della coscienza identitaria presso la popolazione interna,
largamente alfabetizzata, che aveva la possibilità di ricavarne una rap-
presentazione omogenea del proprio passato e una lettura organica del
presente, in cui tanto le ingiustizie quanto le tentazioni subite erano
inserite in un contesto più ampio e profondo, in cui la comunità valdese
appariva quale punta avanzata e più esposta di un inarrestabile movi-
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mento per una più pura riforma della Chiesa di Cristo .
Le Grand Barbe, in effetti, costituiva una violentissima invettiva non
soltanto contro Gianavello e i suoi accoliti, ma proprio nei confronti di
quella dirigenza religiosa le cui scelte quest’ultimo aveva incondiziona-
tamente appoggiato, ricevendo in cambio il sostegno necessario per la
mobilitazione al suo seguito di vasti strati della popolazione valdese. Il
giuramento del Chabas del 1663, sopra richiamato, intendeva esem-
plificare proprio quest’alleanza tra il “bandito” e i fedeli valdesi, che lo
riconoscevano quale loro capo in virtù dei servigi e delle benedizioni di
buona parte del corpo pastorale delle Valli. Malgrado la disfatta, il
ritorno di gruppi di combattenti tra il 1664 e il 1666, ne indicava la
recuperata solidità, confermata dalla ricomparsa prima di Léger e poi
di Gianavello stesso. In tale contesto, può risultare comprensibile
quanto fosse essenziale, per chi tra gli abitanti delle Valli si opponeva
49 Sulla storiografia valdese del Seicento, si vedano almeno G. Gonnet, Remarques sur
l’historiographie vaudoise des XVIe et XVIIe siècles, «Bulletin de la Société de l’Histoire du
Protestantisme Français», 120, 1974, pp. 323-365; D. Tron, Jean Léger e la storiografia
valdese del Seicento, Bssv, 172, 1993, pp. 82-90; M. Benedetti, Il «Santo bottino» cit.
n.44 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Dicembre 2018
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)