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498 Gianclaudio Civale
a un ritorno della guerra, colpire l’emblema stesso della resistenza,
rendendolo bersaglio di un’azione denigratoria evidente sin dal titolo
del libercolo, quel Grand Barbe con cui si intendeva alludere caustica-
mente al prestigio e alla capacità di rendersi rappresentativo degli
umori e delle aspirazioni di tutti i valdesi.
Nel testo i toni sarcastici, tuttavia, erano immediatamente abbando-
nati in un processo di degradazione che ben presto scivolava nel mero
insulto. Se, infatti, all’inizio dell’operetta, al “capitano delle Valli” era
riconosciuto nella guerra del 1655 «quelques favorables exploits», tali
successi erano dovuti a «bonne fortune plustost qu’un ecces de courage»
ed erano stati utilizzati per ottenere «un tel ascendant sur ce pouvre
Peuple» da trasformarsi nel tempo in un vero e proprio giogo, sotto il
quale molte vite valdesi erano state sacrificate. Gianavello, arricchitosi
per il tramite della guerra, aveva infatti tentato di perpetuarla con tale
malizia e crudeltà dall’essere definito di volta in volta «cappitaine assa-
sin et bourreau», padrone di un «empire tyrannique», «nouveau General
des Bannis», un codardo in cui non vi era nulla di esemplare «ny son
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adresse, ny sa conduite, moins encore son courage» .
Non bastavano, tuttavia, le espressioni ingiuriose per svelare al mondo
il reale carattere di Gianavello, «incomparable en brutalité, en impieté, et
en desordonné esprit de vengeance», era necessaria un’autentica opera-
zione di verità, poiché essa era stata a lungo «cachée, dissimulée, et reve-
stue d’habits estranges mais ridicules, pour la rendre mescognoissable» .
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Il riferimento critico, nemmeno troppo velato, era evidentemente
diretto al ruolo che avevano avuto alcuni ministri tra i più rinomati nel
celebrare la figura del “bandito” e nel diffondere la sua fama all’estero.
La vulgata che circolava doveva essere dunque screditata mediante
una puntuale confutazione, un racconto alternativo che potesse rico-
struire i fatti per come si erano svolti e smentire chi aveva fatto passare
«cet homme de sang pour un heros, pour un demy Dieu, pour un vray
pilier de la Religion Reformée» . Era su questo piano che il pamphlet,
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concepito come scritto eminentemente infamante, si trasformava di
necessità in una “controstoria” che, mettendo in evidenza le violenze,
la crudeltà e le miserie del suo protagonista, mirava a restituire il senso
profondo di quella etichetta di bandito che nella propaganda, e nella
epopea che poi ne sarebbe fiorita, rimaneva unicamente come ignomi-
nioso titolo decretatogli dalle autorità sabaude.
Del genere storico, o piuttosto del memorandum, lo scritto aveva in
effetti l’andamento generalmente cronologico e la suddivisione in punti
50 Le Grand Barbe cit., passim.
51 Ivi, p. 23.
52 Ivi, p. 24.
Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Dicembre 2018 n.44
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)