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L’eroe bandito. Ribellione, infamia e religione nelle Alpi Valdesi del ’600 503
brava, dinnanzi a tutti i valdesi e alla comunità riformata internazio-
nale doveva essere finalmente conclamata la sua reale natura di tre
volte traditore, «traistre à Dieu, traistre à son Prince, et traistre à sa
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Patrie» .
4. Un calvinismo alpino
Le Grand Barbe reca nel colophon la puntualizzazione, a caratteri
maiuscoli, che il libello costituiva soltanto la «première partie» di un
progetto più ampio. Di ulteriori opuscoli della medesima serie non vi è
però traccia alcuna nelle collezioni librarie; considerata anche l’estrema
rarità del primo pamphlet, una loro scomparsa certo non potrebbe stu-
pire. Tuttavia, si è propensi a credere che, se pure fu concepita una col-
lezione di scritti critici nei confronti di Gianavello o di altri leader della
dirigenza valdese in guerra, tale programma non arrivò mai a realizzarsi
per la semplice ragione che la situazione politica sconsigliava nuove
pubblicazioni del medesimo genere. Con l’arbitrato siglato da Luigi XIV
nel 1667, le cui misure prudentemente non furono implementate per
altri tre anni, la pace finalmente ritornò nelle Valli. La medesima resi-
stenza dei “banditi” gradualmente si diradò, soffocata per la mancanza
di coordinamento, per la più efficace vigilanza delle truppe sabaude ed
anche probabilmente per il minore sostegno da parte delle popolazioni
esauste. Soprattutto, i sinodi non poterono più esser occasione di coa-
gulo di un’opinione critica per la presenza, durante il loro svolgimento,
di agenti ducali, il cui intervento, come unico simulacro di opposizione,
fu motivo di protesta e mai del tutto accettato. I più irrequieti dovettero
rassegnarsi a raggiungere nell’esilio le comunità valdesi di Ginevra,
della Svizzera o dell’Impero oppure assistere alle sempre più invadenti
missioni di cattolicizzazione condotte da gesuiti e cappuccini. In questo
contesto, diffondere nuovi testi polemici avrebbe significato soltanto tor-
nare ad alimentare in seno alla comunità valdese una controversia poli-
tica che era già terminata con una vittoria, sebbene al costo di
innumerevoli sofferenze e perdite tra «les povres habitans des Vallées
de Piemont, proffessant la Religion Reformée».
L’anonimo che compose Le Grand Barbe era, infatti, un fedele val-
dese. Nel 1655, lo dichiarava nel proemio della sua stessa opera, aveva
patito insieme con i suoi correligionari il flagello della guerra «dont il
pleaut a Dieu de les visiter», sperando poi di godere dei frutti della ritro-
vata pace; un «favorable repos» che si era augurato di «tres longue
70 Ivi, p. 24.
n.44 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Dicembre 2018
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)