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                 mente le sue condizioni attraverso la conversione all’islam, dopo la
                 quale gli avrebbe volentieri dato in moglie la figlia più giovane, Alima, e
                 tutta la sua protezione. Anche la ragazza era personalmente molto pro-
                 pensa  e  Yusuf  tornò  più  volte  sulla  sua  proposta,  ma  sempre  con
                 rispetto della libertà di decisione del giovane francese che da parte sua,
                 con altrettanto rispetto e stima per la persona e la fede di Iusuf, volle
                 restare nella fede natale, accettando con rassegnazione la sua dura
                 sorte, mentre diceva pacatamente all’amico Yusuf di augurarsi che egli
                 volesse farsi cristiano. Piace leggere questo episodio, mentre più di fre-
                 quente si incontrano – talvolta con l’aspetto di un topos obbligatorio –
                 riferimenti, poco credibili, a sollecitazioni provocatorie, lusinghe ingan-
                 nevoli, sino a pressioni violente affinché schiavi cristiani ‘si facessero
                 turchi’ (cap. X, pp. 244-254).
                    Su due dei cosiddetti pilastri dell’islam, quelli indubbiamente più
                 visibili e sorprendenti, Quartier si sofferma a riferire qualcosa, atte-
                 stando la sua attenzione rispettosa verso la fede del profeta di fronte
                 alla quale si trovò negli anni della sua dura schiavitù; nessuna atten-
                 zione diretta verso la religione musulmana si trova invece nella Histoire
                 chronologique ed è una differenza che caratterizza i due autori, ambedue
                 importanti come fonti per la storia di Tripoli nel Seicento. A proposito
                 del pellegrinaggio alla Mecca, Quartier ne segnala correttamente la com-
                 plessa ed efficiente organizzazione, che faceva trovare ai pellegrini ade-
                 guati spazi di sosta nelle località e nei tempi previsti, per consentire
                 l’ordinato svolgimento di andate e ritorni dei diversi gruppi. A Tripoli
                 giungevano principalmente pellegrini provenienti da Algeri e da Tunisi:
                 alcuni – si annota – viaggiavano accompagnati anche dalle mogli e da
                 uno o più schiavi, per esserne serviti e assistiti. A proposito degli schiavi
                 Quartier riferisce l’apprezzata consuetudine che il padrone, alla felice
                 conclusione del pellegrinaggio rendesse liberi i suoi schiavi o almeno
                 uno di essi. Dal Maghreb i pellegrini passavano in Egitto, scendevano
                 sino al Cairo, diventavano un esercito. Con realismo Quartier rileva che
                 non si trattava soltanto di una grande manifestazione di fede: accanto
                 ad essa infatti, lungo tutto il percorso, sino ai luoghi santi, si svolgevano
                 attivi commerci che animavano una intensa circolazione economica cir-
                 costante (fra l’altro pp. 272-282).
                    L’attenzione forse più forte è rivolta da Quartier a coloro che per
                 motivazioni e in circostanze diverse passavano dalla fede cristiana a
                 quella islamica, un passaggio che restava spesso peraltro circondato
                 dal dubbio, fra una adesione consapevole e profonda e una accettazione
                 esteriore, superficiale, in un fondo di miscredenza verso ogni fede. Nel-
                 l’insieme Quartier considerava con severità e riprovazione i rinnegati,
                 come erano comunemente designati in quei secoli, e quel termine è
                 ancor oggi ampiamente usato dalla storiografia. Insiste nel rappresen-
                 tarli, come vedremo, in modo sfavorevole, riferendo abitudini, pratiche,


                 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVI - Aprile 2019      n.45
                 ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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