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                 lica, realizzata da uomini dotati di «litterae et boni mores» legati a doppio
                 filo al vescovo di Bayeux, morto in quello stesso 1532, e lontani dalle
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                 influenze carafiane . Del resto, le predicazioni sulla giustificazione per
                 fede di Tullio Crispoldi e le posizioni sulla salvezza e sulla grazia matu-
                 rate da Marcantonio Flaminio i quali, insieme con molti collaboratori di
                 Giberti, nell’inverno del 1535-1536 furono profondamente coinvolti nel
                 magistero del teologo fiammingo Johann van Kampen sulle Epistole di
                 san Paolo, mostrano come dall’ambiente veronese emergessero «orien-
                 tamenti dottrinali sempre più difficilmente compatibili con l’ortodossia
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                 ufficiale» . È facile ipotizzare che, per le convinzioni che aveva maturato
                 già nei primi anni venti del Cinquecento, Stella poté trovare a Verona un
                 ambiente stimolante dove poter rifletere sull’esclusivo valore salvifico
                 della grazia ed elaborare le sue tensioni caritative. Orientamenti che
                 invece Carafa era sempre pronto a stigmatizzare, come avvenne nel 1532
                 quando Giberti fu rimproverato per aver invitato a Verona un frate a suo
                 avviso particolarmente compromesso, o l’anno successivo quando, pre-
                 sentato a Reginald Pole, mostrava di non comprendere le motivazioni in
                 virtù delle quali il vescovo di Verona doveva essersi avvicinato a un per-
                 sonaggio definito, ironicamente, «gentil spirito inglese», le cui posizioni
                 dovevano  apparirgli  quanto  meno  sospette  poiché,  scriveva,  «non  lo
                 intendo anchora perché non si lassa intendere» 100 .
                    Bartolomeo Stella era dunque entrato a far parte della familia di
                 Giberti, come mostra una lettera che gli scrisse già nel 1528 Francesco
                 Della Torre, segretario del vescovo 101 . Anni più tardi, dalle lettere che
                 sempre Della Torre scrisse a Carlo Gualteruzzi, uomo di lettere e di
                 curia, procuratore a Roma di Cosimo Gheri e Pietro Bembo e assiduo
                 frequentatore della corte cardinalizia di Reginald Pole, si evince la
                 genuina familiarità con cui lo Stella era ricordato a Verona. Nel 1538,
                 nell’annunciare una sua visita alla corte di Pole, di cui il bresciano era
                 ormai segretario, Della Torre infatti auspicava «che vogliate esser con-
                 tento pregare il nostro reverendo Stella che mi apparecchi un tavolino
                 nella sua camera, et al signor Priuli una sponda del suo letto» 102 . In altre
                 occasioni egli si raccomandava al Pole «col magnifico Priuli, Stella, Bec-
                 catello, et tutto il resto, non scordandomi monsignor Bino col poeta Tri-
                 phone» 103  e, ancora, faceva riferimento a «monsignor Marco Antonio
                 [Flaminio], monsignor Bartholomeo Stella miei fratelli» 104 . Un’altra volta,


                    98  Su tutti questi aspetti si rimanda a G. Alonge, Ludovico di Canossa cit., pp. 32 e
                 40 e sgg.
                    99  M. Firpo, Riforma protestante ed eresie cit., p. 109.
                    100  G.M. Monti, Ricerche su Papa Paolo IV cit., p. 146.
                    101  Bam, Archivio Silvestri, Carte Stella, ms. 29a.
                    102  Bcr, ms. 4176, f. 163v.
                    103  Ivi, f. 162v.
                    104  Ivi, f. 165v.


                 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVI - Aprile 2019      n.45
                 ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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