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giunti a destinazione denunciando un carico ben più modesto di quello
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reale (per pagare meno, ovviamente) .
Nel Settecento l’esistenza di due dritti di questo tipo veniva soppor-
tata con fastidio crescente dai sovrani europei. Il principio della terri-
torialità delle acque prossime al litorale era già stato messo in
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discussione da affermati giuristi , e l’arrivo massiccio di nuovi opera-
tori del Nord Europa (oltre ai già noti francesi, inglesi, olandesi, anche
gli svedesi, i danesi, i norvegesi) ingigantiva le incomprensioni al largo
dei due scali . Erano lontani i tempi in cui un re di Francia, Luigi XI,
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acconsentiva a rilasciare al piccolo signore di Monaco (allora Lamberto
Grimaldi) apposite «patenti» per riscuotere il pedaggio sulle imbarca-
zioni dei “suoi” sudditi genovesi, «a considerazione de i servigi prestati
[dai precedenti signori della rocca] sì col diffenderli contro i loro nemici
e ribelli, che con preservare in questo porto tutti i loro bastimenti fugati
da corsari» . Certo, ancora per un po’ si era riusciti a perseverare nel-
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l’applicazione dei dritti rifacendosi alle ragioni della consuetudine e al
principio giuridico del “precedente”. Esplicitamente, nella dettagliata
«memoria concernente la giustizia dell’essazione del dritto marittimo
di Monaco», commissionata da Antonio I nel 1712, si leggeva «essersi
il detto dritto non tanto essatto, quanto osservato da tempi immemo-
rabili»; e tale prerogativa era suffragata «da casi seguiti non solo dei
pagamenti fatti indistintamente da tutti i bastimenti di qualsisia carico,
ma anche dalle confische fatte contro i contumaci» . Ma ormai preva-
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leva la retorica dei governi “illuminati”, ben esemplificata dalla citata
relazione del Supremo magistrato del commercio di Napoli, secondo il
41 «Molti altri [di] nazione genovese poi sono passati più e più volte fuori, massime
nel tempo che sapevano essere in porto la barca invigilatrice, quali poi gionti in Marsiglia
oppure alla loro destinazione nella riviera di Genova scrivevano di essere passati senza
qui approdare a causa del tempo cativo, consegnando a loro piacere il contenuto del loro
carico, sapendo però che per lo più dette volte non è stato il motivo del tempo, ma uni-
camente per sottarsi dalla visita alla quale sarebbero stati soggetti venendo in questo
porto, per motivo della quale sarebbero stati in obligo di dare una consegna più fedele e
pagare una maggior somma» (Adam, DV, m a, 6).
42 Tuttavia, ancora in un’istruzione del 16 luglio 1750, il consolato di Nizza scriveva
in corrispondenza del punto «impero del mare»: «i sovrani di cui sono proprie le spiagge
hanno lungo le medesime anche il dominio del mare, e non solamente per quelle acque
le quali sono chiuse ne porti o seni che fece la natura o l’arte, ma per le altre ancora non
circondate così, e sono universalmente in possesso di esercitarlo»; subito dopo veniva
aggiunto: «questo dominio poi non si stende veramente in alto mare senza termine, ma
suol’essere limitato in sin’a dove giunge l’occhio, o per la distanza di sessanta et eziandio
di cento miglia» (Adam, CN, 3B2). Sugli echi genovesi di questo dibattito si legga R.
Savelli, Un seguace italiano di Selden. Pietro Battista Borghi, «Materiali per una storia
della cultura giuridica», III/1 (1973), pp. 13-76.
43 M. Bottin, Les péages maritimes de Monaco et Villefranche cit.
44 Appm, A39.
45 Ibidem.
Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVI - Aprile 2019 n.45
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)