Page 218 - 1 rivista 53
P. 218
732 Orazio Cancila
A parte l’indubbio pregio dell’opera in sé, la ricerca serve a Giuffrida
per prendere contatto e dimestichezza con problematiche e metodologie
nuove, non soltanto per lui che aveva una formazione umanistica, ma
anche per la storiografia siciliana sull’Ottocento, che si era tenuta sem-
pre lontana da questi temi. Il lavoro può quindi considerarsi propedeu-
tico ai contributi successivi sulle banche siciliane, e in particolare
all’opera in due volumi sul Banco di Sicilia, sulla quale ritorneremo.
Al filone bancario appartiene anche il saggio del 1969 su Vincenzo
Florio governatore negoziante del Banco Regio, interessante perché ci
aiuta a conoscere meglio la psicologia del personaggio Florio e ci dimo-
stra come nell’eterna lotta tra politica e norma sia spesso la prima a
prevalere sulla seconda. Un testo che ho ampiamente utilizzato per il
mio lavoro sulla famiglia Florio pubblicato di recente. Il presidente del
banco Pietro Rossi nel 1852 era deciso a licenziare Florio, in considera-
zione delle sue frequenti assenze dal turno settimanale di servizio. Im-
pegnato a tempo pieno nell’attività imprenditoriale, costretto a fare con-
tinuamente la spola tra Palermo e Marsala, con qualche puntata
all’estero (Marsiglia), Florio in realtà aveva poco tempo da dedicare al
suo incarico, al quale però non intendeva rinunciare, come non inten-
deva rinunciare agli emolumenti che il Rossi aveva deciso di non corri-
spondergli perché don Vincenzo «continuava a non recarsi in Banco nel
turno della sua settimana». Peraltro si trattava di una somma alquanto
modesta per un personaggio del suo calibro: appena 216 ducati l’anno,
che egli però non voleva assolutamente perdere, a dimostrazione di
come in materia di quattrini non fosse disposto a fare sconti a nessuno.
Il presidente del Banco, che aveva già pronto il sostituto nella per-
sona dell’imprenditore Ferdinando Lello, era costretto a piegarsi alla
volontà politica e a far cadere la richiesta di destituzione, ma riteneva
in tutta coscienza che non gli si dovesse alcun compenso dato che il
lavoro continuava a non essere svolto. Il ministro Cassisi era infatti
intervenuto prospettando le conseguenze negative di una destituzione
per un imprenditore come Florio. Per Cassisi, sarebbe stato più oppor-
tuno che Florio presentasse spontaneamente le sue dimissioni, ma
don Vincenzo non ci pensava neppure, anzi richiedeva gli emolumenti
pregressi, in considerazione del fatto che aveva sempre partecipato alle
riunioni del Consiglio, pur sospettando che il Rossi per fargli un di-
spetto le fissasse «in giorni in cui verificavansi partenze di vapori»; e
«che le proprie occupazioni commerciali non potevano permettergli di
stare in permanenza dalle 9 a.m. alle 3 p.m., quanto dire sei ore al
giorno e per lo corso di un’intera settimana alternativamente con un
altro. E per far che? Niente!». La sede palermitana del Banco Regio non
doveva quindi pullulare di clienti, se Florio poteva ritenere «una ca-
pricciosa pretesa» l’imposizione di «abbandonare e senza alcun biso-
gno li suoi affari commerciali».
Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVIII - Dicembre 2021
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)