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                   Non è il caso che i ricordi qui ciò che Trasselli rappresentò per i
                suoi allievi più cari, per Romualdo e Ninni Giuffrida, per Orazio Can-
                cila, per Franco D’Angelo. È invece opportuno e direi doveroso, che si
                testimoni pubblicamente, da parte di chi con Trasselli ha avuto rap-
                porti di comune lavoro editoriale e più occasioni di dibattito, di con-
                fronto, di polemiche anche metodologiche quel che egli fu per molti di
                noi che da diversificate angolazioni ci interessiamo da anni ai problemi
                del Mezzogiorno e della Sicilia durante il Medioevo e la prima età mo-
                derna. La accurata preparazione filologica ed economica, largamente
                intessuta di solide conoscenze storico-giuridiche, si rivelò fin da uno
                dei primi suoi lavori, da quel prezioso libretto ormai introvabile stam-
                pato nel 1949 presso le edizioni Segesta di Palermo col titolo I privilegi
                di Messina e di Trapani: 1160-1355. E nelle cui raffinata e puntuale
                analisi si poteva già indovinare l’avvio di nuovi metodi nelle indagini
                di storia medievale siciliane. E cogliere soprattutto, con le capacità di
                controllare i punti di convergenza di diverse discipline, le attitudine di
                Trasselli a una ricerca che andava al di là del tradizionale concetto di
                fonte e della tradizionale nozione accademica di ricerca e di raffronti
                di testi.
                   Certo il lavoro su I privilegi rimaneva ancora nell’ambito di una mi-
                nuziosa, puntuale e talvolta erudita indagine d’archivio. Ma l’impianto
                dell’opera, l’abile e spregiudicata lettura delle fonti, i risultati per certi
                versi sorprendenti specie in rapporto allo studio di Piero Pieri pubbli-
                cato dieci anni prima, se offrivano gli strumenti per la piena compren-
                sione del progressivo modificarsi nel Mediterraneo della presenza eco-
                nomica e politica di una città come Messina, rivelavano già interessi
                destinati  a  compiere  salti  qualitativi  che  taluni  ambienti  non  esita-
                rono, allora, a considerare provocatori.
                   Solo da qualche decennio la storiografia più avveduta si va via via
                rendendo conto che l’analisi del documento è tanto più valida quanto
                meglio apre alla comprensione di ambienti, modi e abitudini di vita.
                Alla comprensione cioè di quel che Marc Bloch, ne La società feudale
                che proprio nel 1949 veniva per la prima volta tradotta in Italia, iden-
                tificava con le condizioni materiali di vita e con la tonalità economica,
                con le maniere di sentire e di ·pensare, con la memoria collettiva. Per-
                ché, scriveva appunto il fondatore delle Annales, «è molto ingenuo pre-
                tendere di capire gli uomini ignorando quali fossero le loro condizioni
                fisiche, l’ambiente naturale e sociale in cui vivevano e il loro modo dì
                essere e di pensare. E a questa esigenza, alla necessità cioè di appro-
                fondire, anche in chiave antropologica, tutti i complessi risvolti della’
                quotidianità, sono da ricondurre i lavori più recenti di Trasselli.
                   E mi riferisco al saggio su Alcamo, comune feudale alla fine del tre-
                cento del 1971, alla ricerca su I messinesi tra quattro e cinquecento del





                Mediterranea - ricerche storiche - Anno XIX - Aprile 2022
                ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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