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                Oriente, conclusasi in Kuwait, la sera del giorno dopo, con la resa dei
                terroristi e con il tragico bilancio di 32 morti e 17 feriti 104 .
                   Era evidente che l’Italia stesse diventando teatro di un conflitto dal
                potenziale estremamente sanguinoso e destabilizzante, per di più in
                un  periodo  di  crescita  del  terrorismo  domestico.  Di  fronte  a  questo
                fenomeno inedito, il governo italiano aveva almeno due vulnus. Da una
                parte, non poteva né intendeva alienarsi le simpatie dei paesi arabi,
                allora solidali con la causa palestinese, ma fondamentali sia per ra-
                gioni commerciali sia soprattutto per le forniture di petrolio – la crisi
                del ’73 avrebbe reso manifesta la dipendenza italiana da tali risorse
                energetiche. Anche nella logica dei blocchi, pareva opportuno conser-
                vare un dialogo con i paesi arabi che rischiavano di scivolare nella
                sfera d’influenza sovietica. D’altra parte, il terrorismo palestinese ap-
                pariva incontrollabile, colpiva civili inermi, minacciava ritorsioni a se-
                guito degli arresti e, per di più, generava una pericolosa scia di sangue
                a causa delle vendette israeliane. Le agenzie di intelligence e gli appa-
                rati anti-terrorismo italiani erano impreparati e mancavano tanto delle
                risorse quanto dei mezzi per contrastare tale minaccia.
                   Pertanto, come ormai numerose fonti confermano, le autorità ita-
                liane optarono per un accordo segreto, non scritto, con rappresentanti
                della resistenza palestinese, raggiunto in varie tappe tra il 1972 e il
                1974 (dopo una fase molto informale iniziata nel 1969). In particolare,
                è appurato che l’arresto dei cinque terroristi di Settembre nero a Ostia
                abbia precipitato le trattative 105 . Noto come «lodo Moro», perché legato
                all’allora ministro degli Esteri, l’accordo sarebbe stato anche discusso
                e approvato dai vertici dei principali partiti di governo di quel periodo
                (Dc e Psi), coinvolgendo alte cariche istituzionali e importanti dicasteri.
                Sul campo, il lodo sarebbe stato preparato e negoziato soprattutto dal
                colonnello  Stefano  Giovannone,  attaché  militare  all’Ambasciata  ita-
                liana di Beirut e protettore delle missioni diplomatiche italiane in Me-
                dio Oriente, nonché uomo di fiducia di Moro e interlocutore fidato della
                resistenza palestinese. Da parte palestinese sarebbero stati coinvolti
                nella  trattativa  prima  l’Olp  e  poi  l’Fplp,  dopo  che  quest’ultimo  era
                uscito  dal  Comitato  esecutivo  dell’Olp  e  aveva  formato  il  cosiddetto


                   104  Gli attentatori furono accolti in Kuwait dove le autorità locali rifiutarono la ri-
                chiesta italiana di estradizione e consegnarono i terroristi all’Olp. cfr. S. Lordi, A. Giu-
                seppetti, Fiumicino 17 dicembre 1973: la strage di Settembre Nero, Rubbettino, Soveria
                Mannelli, 2010, pp. 93-95.
                   105  Due degli arrestati furono scarcerati a fine ottobre 1973 e condotti in Libia a
                bordo di un bimotore dell’Aeronautica militare, denominato Argo 16. I tre rimasti in
                carcere vennero processati il 17 dicembre, giorno in cui Argo 16 precipitò per cause mai
                chiarite, ma plausibilmente per un sabotaggio a opera del Mossad, su Porto Marghera.
                Condannati a 5 anni e 2 mesi, i tre scomparvero in Libia poco dopo. Cfr. Ivi, p. 19.



                Mediterranea - ricerche storiche - Anno XIX - Aprile 2022
                ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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