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                chiamato Enrico II come lo zio paterno, che fu il suo unico erede di sesso
                maschile, poiché Federichello morì bambino. Quindi, sul piano delle al-
                leanze, per i Ventimiglia il matrimonio non risultò fruttuoso, perché l’ere-
                dità materiale e morale della coppia andò a Enrico II. Matteo si spense
                nel 1370, la moglie Giacoma risulta defunta anteriormente al 15 gennaio
                1372, giorno in cui la madre Elisabetta dettò le sue ultime volontà. Anche
                la precoce morte di Federichello si deduce dal testamento della contessa
                Elisabetta, nel quale compaiono solo le nipoti Agata e Costanzella, orfane
                di Matteo e Giacoma, alle quali la nonna legò un panno d’oro a testa, fra
                quelli  che  si  trovavano  nel  castello  di  Castelbuono.  La  testatrice  legò
                un’onza a Rosa de Macri, nutrice della defunta figlia Giacoma, chiamata
                nel testamento Pina .
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                   Francesco II Ventimiglia diede in moglie a componenti della famiglia
                Chiaromonte altre due figlie. Il secondo matrimonio fu quello contratto
                tra la secondogenita Elisabetta e Giovanni III, figlio di Enrico I Chia-
                romonte ed Elisenda Moncada. Precedentemente i Chiaromonte ave-
                vano rotto gli sponsalia (fidanzamento ufficiale) tra Giovanni III e Ma-
                ria, figlia del miles Amato de Amato di Caltabellotta, stipulato mentre
                era ancora in corso la guerra baronale che vedeva i Chiaromonte e i
                Ventimiglia schierati su fronti opposti. In occasione degli sponsalia tra
                Giovanni III e Maria, Amato de Amato aveva dato a Enrico I Chiaro-
                monte denaro, gioielli, animali e beni mobili, che egli utilizzò per le
                spese belliche. Quando il matrimonio andò a monte, i Chiaromonte
                avrebbero dovuto ridare alla famiglia de Amato tutti i beni, ma nel
                1361, anno della riconciliazione tra i Chiaromonte e Federico IV, il re
                decretò che gli eredi di Enrico I non restituissero più la dote, perché
                era ormai impossibile .
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                   Le trattative matrimoniali con i Ventimiglia furono portate avanti
                da Elisenda Moncada, vedova di Enrico I. Il primo atto fu la nota pub-
                blica stipulata a Trapani nel 1363 dal notaio Pietro de Iohanne, nel
                quale Francesco II Ventimiglia s’impegnò a dare a Giovanni III «magni-
                fico et egregio viro» una dote del valore totale di 1.500 onze «in pecunia,
                iocalibus,  arnesio  et  animalibus»,  per  il  matrimonio  con  Elisabetta
                «magnificam et egregiam dominam». La dote fu consegnata il 5 novem-
                bre 1368 nella città di Cefalù, dove Giovanni III ricevette 1.300 onze
                in denaro, corredo, oggetti preziosi, e dichiarò di avere già avuto vac-
                che e pecore di entrambi i sessi del valore di 200 onze. Il promesso


                   72  Data la triplice omonimia, in famiglia la figlia di Francesco II cominciò a essere
                soprannominata Pina (da Iacopina), per differenziarla dalla zia badessa. E. Mazzarese
                Fardella (a cura di), Il tabulario Belmonte, Società Siciliana per la Storia Patria, Palermo,
                1983, pp. 92-95. I costosi panni d’oro dovevano essere custoditi accuratamente, in un
                luogo protetto del castello, perché erano stoffe preziose ed eleganti utilizzate dalle nobili
                famiglie per confezionare alcuni degli abiti indossati dalle spose durante i riti nuziali.
                   73  Asp, Rc, reg. 7, c. 377r-v.



                Mediterranea - ricerche storiche - Anno XIX - Agosto 2022
                ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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