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                536, durante la guerra gotica, Belisario era riuscito a entrare in Napoli
                attraverso un cuniculo dell’acquedotto. Grazie alle informazioni che
                Diomede Carafa avrebbe ricevuto da due muratori, si individuò il posto
                dove vi era l’apertura del pozzo, che si trovava nella casa di una vec-
                chietta, sita nei pressi della porta di Santa Sofia. Ottenuta dietro con-
                gruo compenso – o, secondo un’altra versione, con il ricorso alla forza
                – la complicità della donna, una schiera di soldati aragonesi la notte
                del 2 giugno 1442 mediante il cuniculo penetrò in città e al segnale
                convenuto Alfonso irruppe attraverso quella porta e occupò i quartieri
                vicini.  Pare  che  il  re  avesse  mandato  a  introdursi  nel  cunicolo  due
                compagnie di fanti guidate dallo stesso Diomede Carafa e da Matteo di
                Gennaro,  «ch’erano  stati  ambi  forusciti  da  Napoli  molti  anni»,  e  un
                muratore «gli condusse in uno spitacolo dell’Aquedutto, che era lon-
                tano da Napoli più d’un miglio, & di notte scesero tutti appresso à lui,
                & cominciaro à caminare l’uni avanti all’altro, armati di balestre». In
                quel frangente, 300 soldati genovesi che erano di guardia alla porta di
                San Gennaro, avendo saputo che «l’esercito aragonese era in Napoli, e
                conoscendo l’odio mortale dei catalani contro ciascuno di lor nazione,
                abbandona[ro]no il posto, e si ripara[ro]no in Castelnuovo», dove si ri-
                tirò anche Renato per non cadere in mano ai nemici, parecchi dei quali
                sembra che avesse prima ucciso in un estremo tentativo di respin-
                gerne l’assalto .
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                   Conquistata Napoli, le truppe aragonesi si diedero al saccheggio,
                che fu però interrotto dopo quattro ore da Alfonso, che «vietò sotto
                pena di morte ogni ulteriore depredamento». Insieme con il duca d’An-
                giò si rifugiarono in Castel Nuovo numerosi nobili napoletani tra cui
                Giovanni Cossa e Ottino Caracciolo. In seguito Renato fece consegnare
                a patti al re aragonese Castel Capuana perché, «sprovveduto di viveri,
                sarebbe stato impossibile il sostenerlo» . Il giorno dopo la caduta della
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                città, il duca d’Angiò salì su una nave genovese approdata presso Ca-
                stel Nuovo e partì per rientrare in Provenza, facendo sosta prima a
                Porto Pisano e quindi a Firenze, dove ebbe un incontro con Eugenio
                IV. Al papa, che «fuor di tempo gli fece l’investitura del Regno, confor-
                tandolo che si saria fatta nova lega per farlo recuperare», Renato pare
                abbia risposto che intendeva ritornare in Francia essendo rimasto pro-
                fondamente deluso del comportamento dei capitani di ventura italiani,


                   42  G. Caridi, Alfonso il Magnanimo cit., pp. 205-206; A Di Costanzo, Historia del Re-
                gno di Napoli cit., Libro XVIII, pp. 394-395. Dell’episodio esistono diverse versioni, vedi
                per tutti G. Zurita, Anales de la Corona de Aragón, Libro XV, cap. 10, ff. 273r-274v e B.
                Croce, Il pozzo di Santa Sofia, in Id., Storie e leggende napoletane, Laterza, Bari 1923,
                pp. 287-291.
                   43  A. Von Platen, Storia del reame di Napoli dal 1414 al 1443, pref. di G. Brancaccio,
                Biblion, Milano 2014, pp. 186-187.



                Mediterranea - ricerche storiche - Anno XIX - Dicembre 2022
                ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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