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                   L’amministrazione della giustizia e la difesa del Regno erano quindi
                le priorità alle quali il sovrano intendeva provvedere perché riteneva
                che dall’efficace azione svolta in questi settori dipendesse il manteni-
                mento della pace all’interno e all’esterno del suo nuovo Stato. Gli obiet-
                tivi che Alfonso si proponeva di conseguire sembrano pertanto sostan-
                zialmente simili a quelli che periodicamente lo avevano spinto a con-
                vocare le Corti degli altri Stati della sua Corona e tuttavia – è stato
                opportunamente notato – «dietro i medesimi stilemi retorici e cancel-
                lereschi» vi erano profonde differenze dovute ai diversi contesti poli-
                tici . Più ristretto era infatti l’ambito delle materie trattate e molto più
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                breve la durata del Parlamento napoletano rispetto alle assemblee dei
                Regni spagnoli della Corona d’Aragona che, come si è potuto osservare,
                si occupavano di numerose questioni e si protraevano per mesi e a
                volte addirittura per anni quando particolarmente aspro era il conten-
                zioso tra il re, cui premeva ottenere generalmente un sussidio finan-
                ziario, e i Bracci, che chiedevano solitamente l’osservanza dei fueros
                (diritti) e l’eliminazione di presunti gravami.
                   Appena il sovrano ebbe concluso il discorso di apertura, i baroni si
                alzarono  in  piedi  in  segno  di  rispetto  e  il  conte  di  Fondi,  nella  sua
                qualità  di  protonotario,  «inginocchiatoseli  prima  avanti,  lo  ringraziò
                per le tante fatiche sofferte per la liberazione del Regno, e disse esser
                cosa conveniente, anzi necessaria, & onorata soccorer la Maestà Sua,
                e costituirli un annuo pagamento per la sua mensa» . Ottenne quindi
                                                                  60
                da Alfonso il permesso di potersi riunire con gli altri baroni per discu-
                tere del modo in cui avrebbero dovuto soddisfare la sua richiesta fi-
                nanziaria. Si decise pertanto di fornire al fisco regio un annuo contri-
                buto di dieci carlini a fuoco – cioè a nucleo familiare – che si sarebbe
                riscosso da tutte le università del Regno sottoposte a periodici censi-
                menti. In cambio di tale imposta, da cui erano esentati gli ecclesiastici,
                ogni fuoco avrebbe ricevuto un tomolo di sale e non avrebbe dovuto
                essere soggetto a ulteriori contribuzioni, che si sarebbero perciò abo-
                lite. Nella seduta successiva, tenutasi il 2 marzo, il sovrano accettò
                l’offerta del Parlamento e abrogò tutte le precedenti contribuzioni or-
                dinarie e straordinarie, riservandosi tuttavia la riscossione dei diritti e
                delle rendite delle dogane, delle secrezie e delle gabelle, imposte indi-
                rette pertinenti al fisco regio, che secondo le Costituzioni del Regno
                non potevano abolirsi e il cui importo ammontava a circa 50.000 du-
                cati annui. In realtà, «la introduzione d’una base per la ripartizione
                delle imposte e d’una imposta unica per famiglia non escluse le tasse
                straordinarie, come quelle attinenti all’incoronazione o al riscatto del


                   59  F. Senatore, Parlamento e luogotenenza generale cit., p. 445.
                   60  G. Summonte, Historia della Città e Regno di Napoli cit., Libro IV, p. 19.



                Mediterranea - ricerche storiche - Anno XIX - Dicembre 2022
                ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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