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                In gioco, piuttosto, vi era lo sfruttamento della manodopera amerindia,
                che rappresentava qualcosa di ben più problematico, anche dal punto
                di vista morale, e necessitava di una regolamentazione precisa e al
                limite ostativa. In tal senso, le divergenze riguardarono in particolare
                le prestazioni lavorative imposte agli indigeni da parte dei coloni di San
                Paolo, con gli alexandristas in buona parte favorevoli alle pretese di
                costoro e i vieiristas contrari.
                   L'atteggiamento protettivo di Vieira nei confronti dei nativi brasi-
                liani, in contrapposizione a coloro che proponevano, senza distinzioni
                né limiti, di catturarli e ridurli in schiavitù, si espresse in modo netto,
                per esempio, nella già citata Clavis prophetarum. Egli vi parlò, infatti,
                dell’«ignoranza invincibile di Dio» e «di tutto il diritto naturale» palesata
                dagli indigeni di etnia tapuiá, «uomini invano» perché privi di libero
                arbitrio, che sarebbero stati comunque salvati in quanto abitanti del
                Brasile,  luogo  nevralgico  nel  progetto  messianico  di  costruzione  del
                Quinto Impero .
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                   Inoltre, in qualità di superiore delle missioni del Maranhão, a par-
                tire dal 1653, Vieira redasse una sorta di regolamento che assicurava
                l'impiego della manodopera indigena sotto il controllo e la tutela dei
                gesuiti all'interno degli “aldeamentos”. In linea con quanto tentato dal
                confratello Manuel da Nóbrega un secolo prima, si trattava a suo av-
                viso di mettere la compagnia ignaziana al centro della politica impe-
                riale lusitana e renderla titolare di una sorta di “potere indiretto” all’in-
                terno della società brasiliana . È infatti entro gli “aldeamentos”, per
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                Vieira,  che  gli  indigeni  sarebbero  stati  educati  secondo  i  parametri
                della religione cristiana, in modo molto più efficace che altrove e senza
                subire interferenze esterne; è entro tali spazi, quindi, che l’azione mis-
                sionaria dei gesuiti si sarebbe espressa al meglio, in vista non solo
                della catechesi dei nativi, ma anche, più in generale, delle necessità
                dell’economia coloniale, a partire dalla produzione agricola .
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                   Le proposte di Vieira e le decisioni prese in tal senso dalla corte di
                Lisbona, che andarono a limitare gli effetti del controverso principio


                   19  Cfr. C.A. Zeron, Vieira in movimento: dalla distinzione tra Tapuias, Tupis e neri alla
                rottura nella dottrina cristiana sulla schiavitù e sulla legge naturale, in E. Colombo, M.
                Massimi, A. Rocca, C.A. Zeron (a cura di), Schiavitù del corpo e schiavitù dell’anima.
                Chiesa, potere politico e schiavitù tra Atlantico e Mediterraneo (sec. XVI-XVIII), Biblioteca
                Ambrosiana, Milano, 2018, pp. 139-165.
                   20  J. Eisenberg, António Vieira and the Justification of Indian Slavery, «Luso-Brazilian
                Review», n. 40/1 (2003), pp. 89-95; C.A. Zeron, Interpretações das relações entre Cura
                animarum  e  Potestas  indirecta  no  Mundo  luso-americano,  «Clio.  Revista  de  Pesquisa
                Histórica», v. 27, n. 1 (2009), pp. 140-177.
                   21  C. de Castelnau-L’Estoile, C.A. Zeron, «Une mission glorieuse et profitable». Réforme
                missionnaire et économie sucrière dans la province jésuite du Brésil au début du XVII e
                siècle, «Revue de synthèse», v. 120, n. 2-3 (1999), pp. 335-358.



                Mediterranea - ricerche storiche - Anno XIX - Dicembre 2022
                ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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