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                   Per evitare che i gesuiti stranieri e quelli nati in Brasile, nel giro di
                «sette o otto anni», assumessero la guida dell’intera Provincia, era dun-
                que necessario limitarne la presenza e ostacolarne la carriera in sede
                locale, allontanandoli innanzitutto dai collegi più importanti, a partire
                da quello di Salvador da Bahia. A parere di Vieira, infatti, «il provin-
                ciale, il maestro dei novizi e il procuratore di Lisbona, incaricato di
                promuovere le missioni», dovevano essere «tutti portoghesi», così come
                gli insegnanti e «gli esaminatori», secondo una distribuzione degli in-
                carichi che andava nella direzione opposta rispetto a quanto gli ale-
                xandristas tentavano di fare .
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                   Anche Andreoni di per sé ammetteva che i gesuiti europei erano
                «megliori» – come fece in una lettera inviata a Roma nel 1690 –, a con-
                dizione però che essi si recassero in Brasile «con spirito di missionarj»,
                ciò che accadeva «ordinariamente», a suo dire, con quelli che arriva-
                vano «d'Italia, di Fiandra, e di Alemagna»; ma non con coloro che, come
                diversi  portoghesi,  giungevano  in  Brasile  «per  mal  contenti»  e  «bu-
                scando luogo», ossia solo per ottenervi posizioni di prestigio . Nella
                                                                            38
                stessa lettera, Andreoni accusava Vieira di essere «stravagantissimo
                nelle idee e infelice in pratica», oltre che di avere, in qualità di visitatore
                generale,  un  «genio  molto  nationale  contro  i  brasiliani»  e  favorevole
                all’arrivo di altri gesuiti dal Portogallo per formare «maggior fatione»;
                in più egli era solito servirsi, a detta di Andreoni, di un’«autorità am-
                plissima», si circondava di colleghi «di poca edificatione», voleva «fare e
                disfare con pregiudicio dell’osservanza» e «nell’amministratione della
                giustitia» si era spesso dimostrato «molto partiale, scusando, coprindo
                e difendendo alcuni di suo genio, e havendosi più tosto come avversa-
                rio che come giudice contro altri» .
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                   Opinioni peraltro confermate, quasi in simbiosi, da Alexandre de
                Gusmão, secondo cui l’operato di Vieira era addirittura «violento», e di
                nuovo ribadite, negli anni successivi, dallo stesso Andreoni, il quale,
                rivolgendosi a più riprese al preposito generale Tirso González, cercò
                di screditare ogni «calunnia» con cui i «padri portoghesi» si erano nel
                frattempo prodigati per indebolire la posizione dei confratelli stranieri
                in Brasile, soprattutto se italiani. Il gesuita toscano, oltre ad accusare
                Vieira e il suo principale collaboratore, José Soares, faceva i nomi dei
                colleghi Baltasar Duarte e Manuel Correia, a cui aggiungeva un per-
                sonaggio  assai  influente  del  governo  lusitano  come  Francisco  de
                Távora, all’epoca presidente del Consiglio Ultramarino .
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                   37  Ibidem.
                   38  Ivi, cc. 282r-283r.
                   39  Ibidem.
                   40  Ivi, cc. 280rv, 302rv, 309r-312v; Arsi, Brasiliae, n. 4, cc. 70r-71v.



                Mediterranea - ricerche storiche - Anno XIX - Dicembre 2022
                ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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