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Nazioni e fazioni: la frammentazione della compagnia gesuitica nel Brasile coloniale 777
iberica, sia nel Nuovo Mondo. Sempre secondo Leite, la parola “patria”,
nel senso di comune appartenenza al medesimo luogo di nascita e/o
di formazione professionale e corporativa, «all’interno della stessa na-
zione», e di identificazione con «gruppi regionali di religiosi» animati da
afflato «particolarista», si sarebbe manifestata in Brasile proprio in
quel periodo, nel contesto delle divisioni fazionarie tra i gesuiti di
quella Provincia, costituendo un «germe remoto» del successivo «spirito
nazionale» di matrice anticoloniale. In tale contesto, infatti, i motivi
dell'appartenenza alla «nazione» avrebbero avuto modo di prevalere, in
più di un’occasione, su quelli dell'appartenenza alla «compagnia» .
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In effetti – come hanno rilevato pure Carlos Ziller Camenietzki e
Carlos Alberto Zeron –, le istruzioni affidate da Giovanni Paolo Oliva
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a Giacinto de Magistris per la sua missione in Brasile si riferivano alla
già diffusa presenza di divisioni fazionarie tra i gesuiti, basate anche
su raggruppamenti nazionali, rispetto a cui si faceva richiesta di evi-
tare le ammissioni di indigeni e creoli; un aspetto che si sarebbe fatto
ancor più evidente qualche decennio dopo, all’epoca dello scontro tra
vieiristas e alexandristas, nella corrispondenza di Vieira e Andreoni, i
quali adottarono proprio l’appartenenza nazionale come uno dei criteri
fondamentali per definire la carriera dei missionari e la gestione delle
risorse materiali dei collegi.
Tra le questioni più urgenti che de Magistris si era trovato ad affron-
tare, e che ne avevano minato l’autorità agli occhi degli avversari, c’erano
state quelle relative sia al numero dei confratelli da accogliere in missione,
che di preferenza dovevano essere portoghesi, sia al numero dei novizi da
accettare nei vari collegi. All’epoca, infatti, tra i gesuiti in Brasile vi era il
limite delle dodici ammissioni per triennio, ridotte a due per gli individui
di sangue indigeno – «naturali della terra» –, ma tali norme, prima
dell'arrivo di de Magistris, non erano state rispettate da Simão de Va-
sconcelos né da José da Costa . D’altro canto, i gesuiti nati in Brasile,
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creoli e meticci in primis, cercavano di legittimare la loro presenza e
valorizzare l’efficacia della loro attività con l'idea secondo cui per i con-
fratelli portoghesi fosse più complicato adattarsi al variegato ambiente
locale, formato da una società schiavile con popolazione prevalente-
mente nera e indigena, oltre che caratterizzato da una varietà idioma-
tica ampia e non facilmente uniformabile.
53 Cfr. S. Leite, História da Companhia de Jesus no Brasil cit., VII, pp. 44-45.
54 C.Z. Camenietzki, O Paraíso Proibido. A censura à Chronica de Simão de Vascon-
celos em 1663, in L. Millones Figueroa, D. Ledezma (a cura di), El saber de los jesuitas,
historias naturales y el Nuevo Mundo, Vervuert-Iberoamericana, Frankfurt-Madrid,
2005, pp. 109-134; C.A. Zeron, From Farce to Tragedy cit., pp. 389-393. Le istruzioni di
Oliva a de Magistris sono conservate in Arsi, Fondo gesuitico, n. 627, cc. 243r-247v.
55 Arsi, Brasiliae, n. 3(II), cc. 12r-14v, 34r-36v.
Mediterranea - ricerche storiche - Anno XIX - Dicembre 2022
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)