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780 Matteo Giuli
ammettere, ancora in una lettera del 1665, e quindi dopo l’episodio
della «giacintata», che il suo nome continuava a circolare a Salvador
da Bahia come quello di un «nemico giurato di tutto il Brasile» .
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4. Strategie di simulazione e dissimulazione
Come detto, António Vieira uscì sconfitto dal lungo confronto coi
suoi oppositori e anche isolato: il suo «voto» contrario alle proposte
degli alexandristas sull’impiego della manodopera indigena di San
Paolo, infatti, non riuscì a far mantenere il controllo temporale sugli
"aldeamentos" locali da parte dei gesuiti; e la sua estromissione da
ogni posizione di rilievo all’interno della Provincia, aggravata dalla pri-
vazione della voce attiva e passiva, fece il resto, accentuando in modo
definitivo la sua distanza dagli avversari.
Dall'altra parte, invece, la posizione di Andreoni uscì complessiva-
mente rafforzata dal confronto coi vieiristas; anche perché, a dispetto
dei provvedimenti giunti da Lisbona e da Roma per limitare la presenza
dei gesuiti stranieri in Brasile e soprattutto per impedirne l’ascesa ge-
rarchica, e al contrario dei suoi confratelli italiani che furono indotti o
costretti a rientrare in Europa, egli riuscì non solo a restare nel collegio
di Salvador da Bahia, divenendone rettore in due occasioni diverse,
nel 1698 e nel 1709, ma pure ad ottenere la carica massima di padre
provinciale, nel 1706.
Confrontandosi in momenti successivi con la Curia Generalizia ro-
mana, in effetti, egli si mostrò sempre consapevole delle protezioni in-
fluenti su cui, nonostante tutto, poteva contare. Allorché Tirso Gon-
zález, nel 1700, lo rimproverò «di non avere urbana mansuetudine ed
equità nei confronti di tutti», ma di essere «più inclinato verso gli ita-
liani», Andreoni non solo si giustificò col fatto di non incontrare l’au-
spicata «accettazione» da parte di molti confratelli portoghesi, ma ad-
dirittura contrattaccò quasi in modo provocatorio, evidenziando di po-
ter comunque far leva sul sostegno del governatore-generale João de
Lencastre, di cui si diceva «amico» oltre che confessore . Fu ancora
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più esplicito un decennio più tardi con Michelangelo Tamburini, suc-
cessore a Roma di Tirso González, al quale in una lettera spiegò di aver
potuto ricoprire per «tanti anni» le maggiori cariche all’interno della
Provincia brasiliana perché in realtà da molti uomini della corte dei
Braganza «non era considerato straniero, ma portoghese» .
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65 Arsi, Lusitaniae, n. 77, c. 72rv.
66 Arsi, Brasiliae, n. 4, cc. 78r-79v.
67 Ivi, cc. 176r-177r.
Mediterranea - ricerche storiche - Anno XIX - Dicembre 2022
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)