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                   Un episodio, quest’ultimo, non anomalo, e che dimostra come an-
                che gli avvocati avessero pesanti responsabilità rispetto alle lungaggini
                processuali 102 .
                   Col passare dei mesi, a De Marco giunsero numerose lamentele da
                Brindisi per i ritardi dell’iter giudiziario, alle quali rispose cercando
                anche l’appoggio e la comprensione di De Leo: «voi sapete che vuol dir
                Napoli, che perciò compatitemi» 103 , scrisse nel 1731; e ancora, qualche
                lettera dopo, raccomandò all’amico di ricordare agli interessati quella
                «eternità di Napoli» 104  che sarebbe stata oggetto di un duro sfogo nel
                maggio dello stesso anno: «io più non mi distendo si per esser notte,
                si perché per la rabbia non posso più scrivere, mentre vedo iniquità,
                bestialità  e  per  Ministri  Ciucci.  Pazienza» 105 .  Tuttavia,  seccato  dalle
                voci che imputavano a lui i ritardi dell’iter processuale, e forse colpito
                anche dall’atteggiamento di De Leo, che sembrava non difendere ade-
                guatamente il suo operato, De Marco mostrò tutto il suo orgoglio in
                una significativa lettera del marzo 1731:

                   Ferdinando mio caro io lode al Cielo porto negozi d’altro rimarco […] Chi
                parla non sa che dirsi, ne V.S. attenda alle ciarle altrui. Io qui presente t’avrei
                voluto  a  veder  le  fatighe  fatte  [...].  Onde  bisogna  compensare  il  dolce
                coll’amaro. Se la causa non vi premeva, non m’avesse V.S. scritto che accu-
                dissi, mentre così da me non si sarebbe fatto niente. In unum, se V.S. non ha
                mandato i denari, li tenga […]. Conosco che mi sono trasportato, però il zelo
                dell’onor mio a tanto m’ha forzato, e mi creda, che l’ho intesa nell’animo. E se
                occorsa fosse con altri, e non con voi fratello carissimo, avrei in verità aguzzata
                d’altra maniera la penna 106 .

                   Al di là di questa querelle giudiziaria, non ancora conclusa nel 1737
                e che avrebbe continuato a «creparlo» 107 , è evidente, esaminando le
                lettere di questi anni, che De Marco, col tempo, si muovesse con sem-
                pre  maggiore  disinvoltura  nell’ambiente  giudiziario  partenopeo  e
                avesse ampliato la sua rete di conoscenze. Tra i personaggi citati nelle
                lettere  del  triennio  1729-31  troviamo,  ad  esempio,  l’avvocato  Ferdi-
                nando  Latilla,  in  seguito  Consigliere  della  Real  Camera  di  Santa
                Chiara e fratello di Benedetto, precettore di Ferdinando IV; o Biagio
                Troise, docente presso l’Università dei Regi Studi, uno dei maggiori




                   102  M.N. Miletti, Ordine legale e potere giurisdizionale cit.
                   103  Bad, ms. B.28, c. 133v, lettera del 10 febbraio 1731.
                   104  Ivi, ms. B.28, c. 140v, lettera del 26 febbraio 1731.
                   105  Ivi, ms. B.28, c. 161v, lettera del 12 maggio 1731.
                   106  Ivi, ms. B.28, cc. 145v-146r, lettera del 17 marzo 1731.
                   107  «Sento che V.S. sia rimasta delusa in legger la mia lettera; e pure ho scritto la
                metà di quanto occorre; onde può imaginarsi quanto io viva più crepato». Ivi, ms. B.28,
                c. 243r, lettera del 2 marzo 1737.



                Mediterranea - ricerche storiche - Anno XX - Aprile 2023
                ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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