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                   Solo una volta nel decennio successivo, sotto il Direttorio, Pio si
                sarebbe espresso in qualità di italiano sulla stampa francese. Reagì
                infatti polemicamente con un sonetto scritto nella lingua madre ad
                alcune rime apparse sul «Journal de Paris», composte da un gruppo
                di noti verseggiatori per celebrare la parata delle opere d’arte confi-
                scate in Italia organizzata a Parigi per il 9 termidoro anno VI (27
                luglio 1798).  D’altra parte, l’intervento dell’ex diplomatico natura-
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                lizzato  era  interno  al  dibattito  parigino,  in  linea  non  solo  con  le
                prese di posizione indignate di numerosi artisti francesi, ma soprat-
                tutto con l’opinione filoitaliana della sinistra giacobina, le cui de-
                nunce  politiche  erano  state  avviate  proprio  da  Sylvain  Maréchal,
                autore del  Manifesto degli Eguali babuvista,  con  la  pubblicazione
                del veemente pamphlet Correctif à la gloire de Bonaparte, uscito a
                Parigi in francese e in italiano nel dicembre del 1797, con il pole-
                mico luogo di stampa «Venezia».
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                   Se davvero vi fu da parte di Pio una rivalutazione della propria
                origine italiana, essa fu dettata – dopo Termidoro, ma soprattutto
                sotto Napoleone e con la Restaurazione – da necessità economiche,
                quando  l’insegnamento  della  lingua  e  la  pubblicazione  di  sussidi
                didattici in italiano divennero la sua fonte principale di sostenta-
                mento. D’altra parte, come osserva Peter Burke tenendo conto di
                lunghe  durate  storiche,  dall’età  moderna  al  Novecento,  la  lingua
                madre è una forma di capitale intellettuale per l’espatriato, gli con-
                sente di guadagnarsi da vivere: «L’espatrio trasformò molti esuli in
                traduttori, coerentemente in un certo senso, dal momento che essi
                stessi erano stati “tradotti”, nel significato arcaico del termine, in
                altre parole trasferiti da un posto all’altro» . Una seconda domanda
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                su Pio riguarda dunque il suo profilo di espatriato, potenziale già
                prima della Rivoluzione, quando egli cominciò a identificarsi con i
                venti di libertà d’oltreoceano.
                   Certo, Luigi Pio è un personaggio tutt’altro che ignoto agli studiosi
                italiani  dell’epoca  rivoluzionaria,  ma  molto  rimane  ancora  da


                con Napoli per dimostrare ai patrioti francesi che aveva riferito senza esitare sin dall’ini-
                zio la verità sulla Rivoluzione, inascoltato dal proprio re.
                   39  Ringrazio Anna Maria Rao per questo prezioso riferimento, rinvenuto tra le carte
                del Fondo Nicola Ferorelli, cart. 4, dell’Archivio di Stato di Milano, al Sonetto di Pio ap-
                parso nel numero 868 del «Journal des campagnes et des armées», foglio fondato da un
                altro espatriato, il piemontese Guglielmo Francesco Galletti (allora da poco deceduto).
                Le rime menzionate erano firmate dai membri di un club che raccoglieva i più noti vau-
                devillistes parigini, tra i quali Barré, Piis, i fratelli Ségur: Auteurs des Diners du Vaude-
                ville, Couplets pour être chantés à la fête des Arts, «Journal de Paris», 309, 9 thermidor
                an VI, pp. 1295-1296.
                   40  Su questi dibattiti si veda M. Vovelle, Il triennio rivoluzionario italiano visto dalla
                Francia, 1796/1799, a cura di E.J. Mannucci, Guida, Napoli, 1999.
                   41  P. Burke, Espatriati ed esuli cit., p. 33.



                Mediterranea - ricerche storiche - Anno XX - Aprile 2023
                ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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