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                   Sulla scorta di una serrata analisi delle fonti la studiosa segue l’ar-
                ticolarsi dello scontro tra i contrapposti schieramenti, svevo e papale,
                consumatosi non solo sui campi di battaglia e delle relazioni diploma-
                tiche, ma anche «nei toni accesi di una ferocissima propaganda e di
                una altrettanto pungente pubblicistica». Il dibattito verteva, com’è evi-
                dente, sulla legittimità della casata sveva a regnare sulla base del di-
                ritto di successione dinastica e sulla «questione della definizione dei
                criteri di idoneità, ossia le qualità e le competenze necessarie che ren-
                devano un sovrano adatto a regnare». Attraverso un’intensa ‘produ-
                zione di documenti’ si avviò in effetti un’attività incrociata di costru-
                zione e di de-costruzione della nobiltà con riferimento alla prosapia
                sveva. Vengono, così, delineati i criteri di idoneità per esercitare il po-
                tere basati su qualità fisiche e morali, su specifiche competenze, ma
                anche su aspetti che predispongono all’esercizio dell’ars gubernandi.
                Ad un secolo di distanza dalla concezione organicista di Giovanni di
                Salisbury che nel suo Policraticus aveva rappresentato il sovrano qual
                “immagine terrena della maestà divina”, il quadro che consente di di-
                stinguere un buon principe da un tiranno, prima del nuovo clima in-
                dotto dal commento alla Politica e al De regimine principum di Tom-
                maso d’Aquino, finemente illustrato da Pietro Costa e Diego Quaglioni,
                risulta ancora informato dalla concezione paolina-agostiniana del po-
                tere. In primo luogo, quindi, secondo l’Andenna, si dava credito all’ap-
                partenenza ad una nobile casata, ossia trovava campo il criterio qua-
                lificante  della  ‘genealogia’.  Il  legame  di  sangue  assicurava,  per  così
                dire, l’‘accumulazione’ di una serie di virtù e qualità già appartenenti
                agli antenati.
                   Ricostruito, a tal punto, il quadro storico in cui venne a maturare
                l’infelice impresa di Corradino per rivendicare l’eredità paterna, la Stu-
                diosa si sofferma in particolare sulla ‘costruzione’ identitaria posta in
                essere dal notaio Pietro da Prezza, eminente esponente dell’ars dicta-
                minis e figura di spicco dell’entourage degli Staufen.
                   Del dictator attivo presso le cancellerie degli ultimi esponenti della
                dinastia  sveva,  ed  in  specie  vicecancelliere  di  Corradino  durante  la
                tragica impresa italiana, adeguata contezza di scritti ed opere a lui
                attribuite o riferibili era già offerta dagli importanti studi testuali in
                merito svolti da Rudolf Michael Kloos, da Fulvio Delle Donne, dalla
                stessa Andenna. Ora, però, la Studiosa, riprende con originalità le me-
                desime fonti per compulsarle nel loro insieme specificamente in ordine
                all’obbiettivo identitario. Così alla Protestatio Corradini, ossia alla in-
                dividuazione della ratio fondante la legittimità della pretesa del giovane
                Staufer all’eredità del Regnum Siciliae viene abbinato un ulteriore do-
                cumento,  redatto  ‘cautelativamente’  rispetto  ad  una  possibile  ecce-
                zione fondata sul precedente, in cui il notaio Pietro sottolinea che, no-
                nostante la giovane età di Corradino, che avrebbe potuto rappresen-





                Mediterranea - ricerche storiche - Anno XX - Agosto 2023
                ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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