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                   Albamonte de Falconerio, vedova del cavaliere Giovanni de Came-
                rana, volle essere sepolta a Santa Caterina, con l’abito delle domeni-
                cane, e nel testamento del 1318 donò un tenimentum di case al mona-
                stero per costruire un ospedale per i poveri e i malati. Legò al mona-
                stero il casale Misylabidus, nel territorio di Marsala, per lo stipendio
                dell’ospedaliere, liberò due schiave e le loro figlie a patto che lavoras-
                sero nell’ospedale una volta alla settimana. Fra gli esecutori testamen-
                tari figurava il priore di Santa Caterina. Legò un calice e un abito sa-
                cerdotale  al  predicatore  Martino  de  Panormo,  inquisitore  degli  ere-
                tici .  I  Domenicani  dovettero  condizionare  anche  Margherita  de
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                Blanco, vedova di Giovanni de Calatagirono, barone di Santo Stefano,
                che nel 1356 chiese di essere sepolta nella cappella di Santa Marghe-
                rita, fondata a Santa Caterina, cui legò un credito di 400 onze. Fra i
                testimoni figuravano quattro domenicani: il priore Bonansinga Grillo,
                il lettore Giovanni de Pactis, i frati Antonio de Panormo e Bartolomeo
                de Raymundo .
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                   Nel Trecento la più importante vedova legata ai Benedettini fu Pre-
                ziosa Abbate, moglie del cavaliere navarrese Garsiolo de Yvar e madre
                di Giovannella,  che preferì non risposarsi. La sua scelta fu rimarcata
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                da papa Urbano V che la definì «nobilem mulierem Pretiosam de Ab-
                bate, viduam Panormitanam» . Nel 1348 Preziosa inviò a Sciacca il
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                notaio Guglielmo de Medico, con l’incarico di rendere esecutiva la let-
                tera regia che aveva annullato l’assegnazione di alcuni suoi beni ad
                altre persone. Dieci anni dopo era trattenuta a Palermo, occupata dai
                Chiaromonte, ormai signori della città, e il re autorizzò Enrico Abbate
                a percepire i redditi dei beni di Preziosa posti a Sciacca. La vedova
                sostenne  ingenti  spese  per  pagare  Dino  de  Pampara,  che  patrocinò
                diverse cause presso la Magna Regia Curia. Tra il 1357 e il 1362, Pre-
                ziosa amministrò beni a Palermo e nel suo territorio: affittò il giardino
                di La Fossa presso il fiume dell’Ammiraglio (Oreto), la bottega di con-
                trada Macello Magno (Vucciria), il mulino di La Bunachia (Bonagia) al
                Seralcadio, concesse a mezzadria la vigna di contrada Chanzeri, in en-
                fiteusi  la  vigna  di  Falsomiele  e  il  giardino  di  contrada  Bulchamari.
                Priva di eredi in seguito alla morte della figlia, nel 1366 la vedova fondò




                   67  P. Sardina, Il monastero di Santa Caterina e la città di Palermo (secoli XIV e XV),
                Associazione mediterranea, Palermo, 2016, pp. 107-108.
                   68  Asp, Tsms, perg. 211; Asp, Crs, S. Domenico, reg. 338, libello estratto dal processo
                contro Santa Caterina.
                   69  L. Sciascia, Nobili navarresi nella Sicilia di Federico III: Asiain, Simen de Aibar,
                Olleta, Caparroso, «Príncipe de Viana», anno LXIII, 225 (gennaio-aprile 2002), p. 164.
                   70  M. Hayez, A.M. Hayez (a cura di), Urbain V (1362-1370), Lettres communes, École
                française de Rome, Rome 1981, t. VII, pp. 173-174, doc. 21715.



                Mediterranea - ricerche storiche - Anno XX - Agosto 2023
                ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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