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Tra cielo e terra: la condizione vedovile a Palermo nel tardo medioevo 249
e dotò il monastero benedettino femminile di Santa Maria delle Vergini
nel Cassaro .
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Per capire le motivazioni che spingevano le vedove a ritirarsi in mo-
nastero è utile esaminare il caso della nobile Allegranza Pizzinga, che
tra il 1476 e il 1481 visse a Santa Caterina come accomandata, fra il
1487 e il 1489 compare nei documenti come monaca professa. Era
figlia di Giacomo Pizzinga, possidente di origine messinese, e vedova
del cavaliere Giovanni Crispo, appartenente anch’egli a una famiglia
proveniente da Messina. Nel 1421 Giacomo scelse come tutrice dei
propri figli, Allegranza e Rinaldo, la nonna paterna Antonia che com-
binò il matrimonio tra Allegranza e Giovanni Crispo, secundum morem
grecorum. Nel 1443 Antonia nominò la nipote erede universale, la cop-
pia esecutrice testamentaria. Volle essere sepolta a Santa Caterina,
con l’abito delle Domenicane, e dispose la celebrazione di messe pro
anima in onore della santa . Forse influirono sulle sue scelte i ser-
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moni che i Domenicani indirizzavano non solo alle vedove che dove-
vano crescere da sole i propri figli, ma anche a quelle che educavano i
nipoti . Di certo, nonna Antonia creò un forte legame tra Allegranza e
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Santa Caterina. Altrettanto condizionante fu il rapporto tra Allegranza
e Giovanni. Nel 1438 la nobildonna era incinta e il marito fece testa-
mento, prima di seguire a Gaeta Alfonso V. Nominò erede universale
un eventuale figlio maschio, Allegranza tutrice finché fosse rimasta
vedova, se fosse nata una figlia sarebbe diventato erede universale
Tommaso Crispo, fratello di Giovanni. Nel 1447 il cavaliere fece cas-
sare il testamento. Dettò le sue ultime volontà nel 1458 e nominò erede
universale la moglie, perché la coppia non aveva figli. La vedova am-
ministrò con l’aiuto di procuratori il suo patrimonio che includeva oli-
veti, frutteti, vigneti, piantagioni di canna da zucchero, campi di grano
e orzo, mandrie di bovini . Entrata in monastero, divenne suor Gio-
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vanna Crispo, appropriandosi dell’identità del marito. Nel 1481 no-
minò un procuratore «pro expediendis rebus et negociis suis» perché
vestiva l’abito del monastero, viveva secondo la regola, ma era ancora
un’accomandata. La precisazione era fondamentale e Giovanna «sem-
per protestata fuerit ne intelligeretur professa», perché temeva che fos-
sero sollevate eccezioni. La vicaria e il capitolo l’autorizzarono a nomi-
nare procuratori sino alla professione di fede. La vedova continuò ad
amministrare i suoi beni dal monastero, conciliando aneliti spirituali
71 P. Sardina, Tra chiostro e secolo: le benedettine di S. Maria delle Vergini nella Pa-
lermo medievale, «Mediaeval Sophia», 21 (gennaio-dicembre 2019), pp. 65-83.
72 P. Sardina, Il monastero di Santa Caterina cit., pp. 78-87.
73 C. Delcorno, «Quasi quidam cantus». Studi sulla predicazione medievale, a cura di
G. Baffetti, G. Forni, S. Serventi, O. Visani, Olschki, Firenze, 2009, pp. 140-141.
74 P. Sardina, Il monastero di Santa Caterina cit., pp. 82-86.
Mediterranea - ricerche storiche - Anno XX - Agosto 2023
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)