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252 Patrizia Sardina
vigna di Ciaculli (20 onze) concessa a Bernardo dopo la ribellione di
Antonio. Nel 1404 il pretore e i giudici condannarono Pina e Jaume,
tutori testamentari, a pagare 350 fiorini a San Domenico. La Corte
Pretoriana fece pignorare alla vedova due tazze d’argento, per un de-
bito. Il secondo marito, Berengario Crispo, aiutò Pina a difendere i di-
ritti della figlia Iannella contro il cognato Antonio, protetto dal catalano
Giovanni da Procida, arcivescovo di Palermo. Nel 1408 il re riconobbe
che Pina aveva amministrato bene la tutela della garzuna e dispose
che vivesse con la madre fino al giorno delle nozze, solo allora Iannella
sarebbe entrata in possesso dei suoi beni .
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Il problema principale delle vedove sposate secondo lo ius grecorum
era recuperare la dote, operazione non sempre facile che spesso le co-
stringeva ad adire le vie legali, affrontando lunghe cause e ingenti
spese. Francesca Spallitta, figlia di un’altra Pina Spatafora, nel 1404
aveva sposato il cavaliere saccense Giovanni Inveges, titolare del feudo
Calamonaci, con una dote di 141 onze in corredo e oggetti preziosi,
143 in denaro. Rimasta vedova, nel febbraio del 1418 fece stilare l’in-
ventario dei beni del marito, a marzo fu nominata dalla Magna Regia
Curia tutrice del figlio Martinello. Legata alla famiglia materna e a
Messina, incaricò il cavaliere Tommaso Spatafora di riscuotere i crediti
del marito, il notaio messinese Filippo de Viperano di recuperare la
dote. Due anni dopo, attendeva ancora la restituzione e aveva già perso
20 onze d’interessi, così mosse causa al figlio. La Magna Regia Curia
nominò curatore del minore Pietro de Violecta, poi rimosso per avere
agito in modo disonesto e sostituito con Tommaso Inveges. Nel 1419
la Magna Regia Curia decretò che la vedova avesse beni del valore di
328 onze e il rimborso delle spese legali, se i beni non fossero bastati
autorizzò la vendita di Calamonaci. I beni valevano solo 127 onze e il
feudo, stimato dai periti 450 onze, fu messo all’asta, andata deserta.
Nel 1420 la Magna Regia Curia decretò che Francesca avesse le 328
onze sui beni del marito, del figlio e sulla metà del feudo. Nel 1426
Francesca si aggiudicò tutti i beni e la metà del feudo, fatta salva per
Martinello la facoltà di riscattarla sino all’età di 25 anni rimborsando
la madre. Un procuratore prestò giuramento e omaggio feudale al po-
sto della vedova che, tre mesi dopo, vendette la metà di Calamonaci a
Bernardo Perollo. Martinello morì senza eredi e Antonio Inveges, fra-
tello di Giovanni, mosse causa a Bernardo Perollo. Dopo la morte di
Antonio, la figlia Margherita portò avanti la causa, finché nel 1445 la
Sacra Regia Coscienza condannò i Perollo a restituirle la metà di Ca-
lamonaci, con la possibilità di rivalersi su Francesca. Giacomo de
85 Ead., L’inventario dei beni di Bernardo Roudus: un catalano a capo del Castello a
mare di Palermo (1397-1403), in D. Ciccarelli (a cura di), Segni manuali e decorazioni nei
documenti siciliani, Officina di Studi medievali, Palermo 2002, pp. 146-152.
Mediterranea - ricerche storiche - Anno XX - Agosto 2023
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)