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                Giovanni Patella che avrebbe dovuto recintarli, custodirli e mandare
                un cofino di frutta tre volte alla settimana. Dopo la potatura, Gubitosa
                avrebbe inviato due esperti potatori per stabilire «si bonum vel malum
                factum est» 123 .
                   Venuta, vedova del notaio Salerno de Peregrino, aveva tre figli Per-
                rono, notaio, Giovanna e Giacomino, infante. Alla morte di Perrono e
                della moglie Tommasa, Venuta divenne tutrice del nipote Colo 124 . Nel
                1349 consegnò al notaio Andrea de Nubula, marito di Giovanna, cor-
                redo (40 onze), oggetti preziosi (20) e immobili (50). Grazie all’accorta
                vedova, la figlia avrebbe potuto sfoggiare un abito viola a coda con
                perle, una reticella di seta viola con capi d’oro, un abito scarlatto, una
                cayola (cuffia) con perle, orecchini d’argento e anelli d’oro 125 .
                   La mancanza di figli rafforzava i legami con la famiglia di origine.
                Nel testamento del 1340 Giovanna, figlia del notaio Lorenzo de Menna
                e vedova del notaio Angelo de Maiorana, allettata ma in possesso delle
                sue facoltà mentali, in grado di parlare e di ricordare, descrisse nei
                dettagli parentele, oggetti del corredo e confini degli immobili. Istituì
                erede universale la sorella Ventura. La sua cappella si trovava nella
                Cattedrale di Palermo, ma volle essere sepolta a Santa Maria del Can-
                celliere, «in monumento quondam matris mee». Lasciò ai fratelli notai
                Andrea  ed  Enrico  la  casa  nel  «darbo  quondam  notarii  Laurenci  de
                Menna patris mei». Legò al nipote Lorenzo, orfano di Agata de Iacono,
                una  casa  nella  ruga  zucac  Birisicke  e  mezza  bottega  nel  Macello
                Grande (Vucciria), al compimento del diciottesimo anno. Lorenzo non
                avrebbe potuto chiedere all’erede universale il rendiconto dei proventi
                utilizzati pro alimentis suis, inoltre, dato che la madre gli aveva lasciato
                4 onze per la legittima, non poteva esigere altro. Giovanna destinò le-
                gati minori in denaro, corredo e abiti a parenti, come la nipote Francia,
                figlia di Andrea, lavoratrici, come la lavandaia Grazia, e donne che la
                frequentavano,  con  una  particolare  attenzione  all’universo  femmi-
                nile 126 .
                   Non tutte le vedove dei notai erano agiate. Quando il notaio Omodeo
                de Bonanno morì, la moglie Aloisia si ritrovò con quattro figli e un
                mare di debiti. Nel 1349 Aloisia e i figli Guglielmo, di 18 anni, e Si-
                mone, di 16, vendettero 90 vacche con la garanzia che i figli minori
                Vinci e Pino, di cui Aloisia era tutrice, avrebbero accettato la transa-
                zione.  Le  24  onze  ricavate  non  bastarono  neanche  a  sdebitarsi  del
                tutto  con  Margherita  de  Blanco,  che  ne  aveva  prestate  al  notaio



                   123  Asp, N, reg. 133, Filippo de Carastono, c. 9r-v.
                   124  Asp, N, reg. 79, Enrico de Citella, cc. 103r-104v.
                   125  Asp, Sn, 15N, Enrico de Citella, cc. 44v-47r. Andrea ricevette sei case al Seralca-
                dio, tre botteghe, un pozzo e due case all’Albergheria, una vigna in contrada Favara.
                   126  Asp, N, reg, 82, Enrico de Cortisio, cc. 14v-15r.



                Mediterranea - ricerche storiche - Anno XX - Agosto 2023
                ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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