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Tra cielo e terra: la condizione vedovile a Palermo nel tardo medioevo 261
stabilito nel testamento del marito 140 . Trovò, invece, una soluzione per
non mandare a rotoli l’attività del marito Pagana, vedova dello spadaio
Costantino, che nel 1329 liberò il servo greco Giorgio e lo pose al suo
servizio «ad faciendum artem spatarii» per vitto e scarpe, 141 .
Del resto, per le vedove dei magistri i servi erano una risorsa
economica preziosa, spendibile in vari settori lavorativi. Nel 1327
Giovanni, servo greco di Allegranza, vedova di Giovanni de Manna,
s’impegnò a lavorare come cassiere con i macellai Riccardo de Ar-
dizono e Nicolò Gambuza 142 . Nel 1340 Giacoma, vedova del macel-
laio Guglielmo Buctetti, pose il servo greco Demetrio al servizio di
un macellaio 143 .
Occuparsi del futuro dei figli significava metterli a bottega, per av-
viarli a un mestiere. Le vedove che stipulavano un contratto di appren-
distato per i figli minori pattuivano il carico di lavoro, la paga, il tipo
di abiti, di scarpe e di letto. Garantivano che i figli, posti sub virga
correccionis, avrebbero svolto i servizi richiesti domus et apothece, a
Palermo e al di fuori, bene et legaliter e non si sarebbero allontanati 144 .
Se fossero fuggiti li avrebbero dovuti cercare e riconsegnare 145 . A volte,
gli apprendisti ricevevano assistenza sanitaria 146 . Per apprendere
l’arte dell’oreficeria, nel 1323 Stefano, figlio di Sibilia, vedova di Anto-
nio Armenio, avrebbe vissuto otto anni con il magister Marino «tam
sanum quam infirmum» 147 .
Altri campi ambiti erano il settore tessile e i mestieri correlati alla
lavorazione del cuoio. Nel 1334 Bonadonna, vedova di Giovanni de Sy-
racusia, mise Giacomino per tre anni al servizio del setaiolo Simone
de Iohanne, con la precisazione che i vestiti sarebbero stati di lana e
lino 148 . Nel 1340 Tommaso, figlio di Grazia, vedova di Angelino Mune-
rio, s’impegnò a lavorare tre anni con il setaiolo Muscono Corso per
un compenso monetario crescente 149 . Gli apprendisti calzolai potevano
140 Asp, N, reg. 5, Salerno de Peregrino, c. 134r-v. Si trattava di un bacile di bronzo,
tre tovaglie, due specchi.
141 Asp, N, reg. 77, Giacomo de Citella, c. 123 r-v.
142 Asp, N, reg. 76, Ruggero de Citella, c. 90r. Giovanni avrebbe ricevuto 9 tarì al
mese.
143 Asp, N, reg. 5, Salerno de Peregrino, cc. 151v-152r. Giacoma avrebbe avuto 18
tarì al mese, la carne ogni settimana, suole e tomaie per Demetrio.
144 Asp, N, reg. 1, Salerno de Peregrino, c. 36r («debet sic facere, tractare et curare
cum effectu omni excepcione remota»).
145 Asp, N, reg. 83, Enrico de Cortisio, c. 57r («ipsum perquirere iuxta posse suum»).
146 Cfr. P. Corrao, L’apprendista nella bottega artigiana palermitana (secc. XIV-XVII),
in I Mestieri, Atti del II Congresso Internazionale di Studi Antropologici Siciliani (26-29
marzo 1980), STASS, Palermo, 1980, pp. 137-144.
147 Asp, N, reg. 1, Salerno de Peregrino, c. 36r-v.
148 Asp, N, reg. 3, Salerno de Peregrino, cc. 14v-15r.
149 Asp, N, reg. 5, Salerno de Peregrino, c. 112r-v. Avrebbe avuto 17 tarì e mezzo il
primo anno, 20 il secondo, 22 e mezzo il terzo.
Mediterranea - ricerche storiche - Anno XX - Agosto 2023
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)