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                   L’obbligo di non risposarsi per mantenere la tutela non scaturiva
                da ragioni etiche e non era una prerogativa nobiliare o maschile.
                Nel 1357 Auruchia, moglie del conciatore Gaddo de Nubula, dispose
                che se il marito si fosse risposato i figli Matteo, Nerio e Bartolomeo
                sarebbero stati educati da Piacente, vedova del cavaliere Algerio de
                Algerio,  o  dalla  cognata  Grazia,  moglie  del  magister  Giacomo  de
                Mule, o da Muscata de Algerio 163 . Invece, Amato de Balezi, che non
                navigava in buone acque, nel 1383 stabilì che la moglie Fina fosse
                tutrice  della  figlia  Lucia  «tam  si  convolaverit  quam  si  viduitatem
                servaverit» 164 .
                   Per le nobildonne mantenere in buone condizioni i palazzi di fami-
                glia non era facile. Nel 1344 Maffia, vedova di Giovanni Caficini, obe-
                rata  di  debiti,  dovette  affittare  il  grande  hospicium  della  Kalsa,  nel
                quale abitava con i figli, al mercante Recupero Guidi che fece realizzare
                a sue spese il parapetto del terrazzo 165 . Per le mogli dei mercanti era
                altrettanto problematico evitare che le botteghe si deteriorassero irri-
                mediabilmente. Nel 1382 Paola de Sancto Stephano, vedova del mer-
                cante Aloisio de Michaele e tutrice dei figli Garita, Caradonna e Barto-
                lomeo 166 , concesse in enfiteusi perpetua la bottega del marito per 2
                onze  annue,  con  l’impegno  di  ripararla  e  non  alterarne  l’aspetto 167 .
                Inoltre, era fondamentale non alienare le vigne, preziosa fonte di red-
                dito per molte vedove, che vendevano l’uva in anticipo e ricevevano
                acconti da investire nella coltivazione della vite. Le vedove di cavalieri,
                mercanti, giudici e notai erano in grado di dedicarsi anche alla colti-
                vazione di oliveti, orti e frutteti, attività agricole redditizie ma impe-
                gnative, o di trarre profitto dalle taverne 168 .
                   Parenti e religiosi aiutavano e condizionavano le vedove. Fra gli ese-
                cutori testamentari di Esmeralda Spalla, vedova del cavaliere France-
                sco Prefolio, figurava il genero Pietro de Bonsignoro, giudice della Ma-
                gna Regia Curia, che probabilmente le suggerì d’inserire una clausola
                limitativa: se il figlio Tinuccio avesse impugnato il testamento, o impe-
                dito il suo adempimento il feudo di Ragusa sarebbe stato venduto e il
                denaro ricavato sarebbe andato alle figlie Fina, moglie del giudice, e
                Tommasa, vedova di Nicola de Bonito. Il guardiano di San Francesco
                di Ragusa, altro esecutore testamentario, fu incaricato di completare



                   163  Asp, N, reg. 120, Bartolomeo de Bononia, cc. 193r-194r.
                   164  Asp, N, reg. 116, Filippo de Biffardo, cc. 14r-15v.
                   165  Asp, N, reg. 117, Bartolomeo de Bononia, cc. 35v-36r.
                   166  Asp, N, reg. 131, Bartolomeo de Bononia, c. 18r-v. Prestò 330 fiorini a Giacomo
                e Nicolò de Falcono.
                   167  Asp, N, reg. 132, Bartolomeo de Bononia, cc. 334r-336r (5 gennaio 1384).
                   168  Asp, N, reg. 119, Bartolomeo de Bononia, c. 8r-v. Leonardo de Camerata s’impe-
                gnò a lavorare un anno nella taverna di Goffreda, vedova del giudice Giovanni Costa,
                per 4 onze e 15 tarì (9 novembre 1351).



                Mediterranea - ricerche storiche - Anno XX - Agosto 2023
                ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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