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                parte dei rappresentanti dell’Universitas, del valore per l’economia cit-
                tadina di tutto il settore lambito dalla costa sud-orientale.
                     L’importanza che i governi cittadini attribuiscono alla conserva-
                zione ad un uso collettivo di alcuni comparti ritenuti vitali per le atti-
                vità economiche e produttive delle comunità, è ben esemplificato dalla
                reazione dell’Universitas di Taranto ai tentativi di speculazione edilizia
                perpetrati a  più  riprese nel corso  del XIV  e  XV secolo, a  danno del
                «terreno dela Piacza», una zona sgombra da costruzioni che si svilup-
                pava nel settore nord-orientale dell’abitato.
                   Nel 1474 i sindaci di Taranto si appellarono al sovrano aragonese
                perché impedisse a Bartolomeo Muscettola, ricco mercante del posto,
                di costruire alcuni edifici nei pressi della piazza pubblica . Mossa a
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                distanza di quasi dieci anni dall’incameramento della città nel dema-
                nio regio insieme a tutte le terre di cui era stato titolare feudale il prin-
                cipe Giovanni Antonio del Balzo Orsini, la supplica faceva notare al re
                come «in quello proprio loco» un tempo vi erano stati istallati «lo ter-
                czanarie et la dohana», e come fosse stato lo stesso principe a decidere
                di ingrandirlo ulteriormente delocalizzando più a ovest il cantiere na-
                vale e inglobandolo in un ridotto difensivo autonomo: la “Cittadella”.
                Ovviamente il tutto a spese dell’Universitas, alla quale era stato impo-
                sto il gravoso impegno economico di comprare e demolire diversi edifici
                della zona.
                   Decisamente un sacrificio considerevole per le casse tarantine, co-
                munque affrontato, come ricordava ancora il testo della supplica, per
                preservare l’integrità di uno spazio dove si svolgevano due fiere an-
                nuali molto frequentate e, in caso «de suspecione de peste», anche il
                mercato  settimanale,  che  normalmente  si  teneva  extra  moenia.  Sa-
                rebbe stata tutta la comunità a pagare le conseguenze del favore ac-
                cordato ad un singolo cittadino, ma era interesse anche del sovrano
                assicurare la piena agibilità di un spazio che «se adopera per edificare
                navigli». Attività certo fondamentale per tutto l’indotto che creava al
                suo intorno, ma che costituiva anche un obbligo imposto a tutti i ta-
                rantini, responsabili della fornitura di imbarcazioni alla flotta reggia .
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                   Questo  era  già  il  secondo  tentativo  di  occupare  con  edifici  privati
                un’area che una comunità a forte “vocazione marittima” percepiva evi-
                dentemente come di vitale importanza. Già quasi un secolo prima, nel
                1364, il principe Filippo d’Angiò, aveva vietato esplicitamente anche la



                   48  R. Alaggio, La città del principe. Vita cittadina e prerogative feudali a Taranto in età
                angioino-aragonese, in G. T. Colesanti (a cura di), “Il re cominciò a conoscere che il prin-
                cipe era un altro re”. Il Principato di Taranto e il contesto mediterraneo (secc. XII-XV), Isti-
                tuto Storico Italiano per il Medioevo, Roma, 2014, pp. 251-286.
                   49  R. Alaggio, Le Pergamene dell’Università di Taranto (1312-1652), Congedo, Gala-
                tina, 2004, pp. 173-178; R. Alaggio, La città del principe cit., pp. 254-259.



                Mediterranea - ricerche storiche - Anno XX - Agosto 2023
                ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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