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604 Francesco Campennì
Lombardi Satriani si dichiara fin dai suoi primi scritti contro la «ne-
cessità del neutralismo scientifico» : il documento folklorico, in
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quanto denuncia quotidiana dell’insopportabilità della vita del popolo,
chiamava piuttosto in causa l’impegno morale del ricercatore, che non
poteva rimanere neutrale e doveva pertanto contribuire all’afferma-
zione di un «folklore progressivo» teso, secondo la nozione di de Mar-
tino, a emancipare i riflessi più vivaci e le aspirazioni contemporanee
del mondo popolare . Allo stesso modo, non era sufficiente cogliere le
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modalità rituali in rapporto storico con la loro funzione culturale, ma
occorreva «materiarsi» nella «dimensione del vissuto» per osservare il
rito «con i protagonisti della fascia folklorica e non soltanto per loro» .
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Lo spostamento della prospettiva visuale dalla ricostruzione delle
relazioni socio-culturali storicamente date, al vissuto, allo sguardo
«dall’interno del mondo studiato», corrispondeva sul versante storio-
grafico alla contestuale esigenza avvertita da Ginzburg. Il suo tema di
studio implicava, oltre al cimento dello storico con testimonianze orali
alla stregua dell’antropologo, sia pure registrate in forma scritta,
l’aspetto dell’identificazione emotiva con i soggetti indagati . Lo stesso
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Ginzburg scrive della suggestione esercitata su di lui dalla lettura gio-
vanile di Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi: «penso di aver impa-
rato che distacco intellettuale e partecipazione emotiva, passione per
la razionalità e rispetto per la diversità culturale sono atteggiamenti
non solo compatibili ma tali da potersi alimentare a vicenda» .
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34 L.M. Lombardi Satriani, Analisi marxista e folklore cit., p. 86.
35 Sulla nozione demartiniana di «folklore progressivo», E. de Martino, Il folklore
progressivo, in «L’Unità», 28 giugno 1951; e la conclusione a Id., Sud e magia, In-
troduzione di U. Galimberti, Milano, Feltrinelli, 1959, 2001, p. 184. La visione di
un Mezzogiorno arcaico e subalterno di de Martino, come quella di Cocchiara e
Scotellaro, veniva a metà degli anni Cinquanta pesantemente attaccata, nei termini
di «populismo folklorizzante», da storici come il giovane Giuseppe Giarrizzo e critici
letterari meridionali come Carlo Muscetta e Mario Alicata, che rigettavano lo stesso
concetto gramsciano di folklore polemizzando con Cirese, Lanternari, Carpitella,
accusati di essere «intellettuali organici». Cfr. G. Giarrizzo, Intellettuali e Mezzo-
giorno nel secondo dopoguerra, in «Studi Storici», 20, 1979, n. 1, pp. 91-110.
Sull’aspro dibattito di quegli anni, F. Benigno, Giuseppe Giarrizzo e la storia “meri-
dionale” d’Italia: il filo ininterrotto di una riflessione, in «Rivista storica italiana»,
CXXIX, 2017, n. 3, pp. 1022-1057, pp. 1026-1036.
36 L.M. Lombardi Satriani, Attuale problematica della religione popolare cit., p.
28 (i corsivi nel testo).
37 Sul tema dello sguardo, C. Ginzburg, L’inquisitore come antropologo, in Id., Il
filo e le tracce. Vero falso finto, Milano, Feltrinelli, 2006, pp. 270-280. Con diverso
punto di vista, molto critico, era intervenuto sull’analogia inquisitore/antropologo
R. Rosaldo, Guardando fuori dalla tenda: l’etnografo e l’inquisitore, in J. Clifford e
G.E. Marcus, a cura di, Scrivere le culture. Poetiche e politiche in etnografia, Roma,
Meltemi, 1997, pp. 111-134.
38 C. Ginzburg, Streghe e sciamani, in Id., Il filo e le tracce cit., pp. 281-293, p. 284.
Cfr. Carlo Levi: riletture, «Meridiana. Rivista di storia e scienze sociali», 53, 2005.
Mediterranea - ricerche storiche - Anno XX - Dicembre 2023
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)