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116 Andrea Profeta
quello religioso, entrambi decisi a difendere le rispettive giurisdizioni.
D’altronde, la crescente radicazione delle istituzioni ecclesiastiche
nei territori dell’Italia postridentina non poteva che «suscitare aspre
rimostranze negli uomini di Stato», non sempre abituati a simili in-
gerenze da parte della Chiesa, soprattutto nei feudi più periferici .
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In Sicilia, poi, dove il pluralismo dei fori d’antico regime trovò un’ap-
plicazione quasi paradigmatica, i frequentissimi conflitti di giurisdi-
zione non solo contrapposero i vescovi al potere laico, ma li coinvol-
sero spesso in controversie con altri giudici ecclesiastici 100 . Probabil-
mente, don Arnaldo interpretò l’eccesso di zelo del vicario curato e il
divieto opposto dal vescovo al mazzuni come la pericolosa prevarica-
zione di una chiesa diocesana lontana dal territorio ed estranea alle
sue tradizioni. Allo stesso modo, Martino Mira poté sfruttare l’episo-
dio per affermare la forza della sua giurisdizione tanto di fronte al
barone quanto di fronte al cappellano della chiesa madre, scegliendo
di scomunicarli entrambi.
L’amministrazione del diritto penale era affidata a fori differenti,
talvolta in concorrenza tra loro. La prassi, in merito ai delitti strego-
neschi, attribuiva alle corti vescovili la competenza sui semplici sorti-
legi e all’Inquisizione quella sui fenomeni demonologici, ma tale sepa-
razione giurisdizionale era rigida soltanto in teoria. Il Sant’Uffizio
dell’isola condannò numerose fattucchiere fuori dal sospetto di eresia.
Nel solo autodafé del 1658, vennero punite nove «indovine et supersti-
ziose» e solo due «invocatrici di demoni» 101 . Le credenze magiche, in
Sicilia, erano frutto di una commistione millenaria di pratiche pagane,
greche, arabe, zingare e germaniche. La varietà dei ruoli e delle fun-
zioni preoccupava gli inquisitori, in molti casi incapaci di ricondurre
strigoni, magàre, saghe e donne di fora alla categoria delle brujas
99 Si veda M. Mancino, La giustizia penale ecclesiastica nell’Italia del Seicento:
linee di tendenza, in «Studi Storici», Anno 51 n. 4 (2010), p. 1025.
100 L’amministrazione della giustizia ecclesiastica nella Sicilia asburgica era af-
fidata ad una molteplicità di fori: oltre alle corti vescovili, la Regia Monarchia (con-
troverso tribunale della Legazia Apostolica facente funzioni di corte d’appello per i
tribunali diocesani, benché non esclusivamente), il Santo Oficio dell’Inquisizione
dipendente dalla Suprema di Madrid, il tribunale della Santa Crociata (foro di pri-
vilegio presieduto dall’arcivescovo di Palermo) e i numerosi fori degli ordini reli-
gioso-cavallereschi (Malta, Alcántara, Calatrava e Santiago). Si rinvia a F. D’Ave-
nia, La Chiesa del re. Monarchia e papato nella Sicilia spagnola (secc. XVI-XVII),
Carocci, Roma, 2015, pp. 119-142. Anche i tribunali laici si aggiungevano a tale
complesso sistema di amministrazione del diritto, contribuendo alla formazione di
una stratificazione giudiziaria che è stata definita «quasi inafferrabile» in G. Spe-
ciale, Appunti sulla giustizia criminale nel Regno di Sicilia (secoli XVI-XVII) in M.
Cavina (a cura di), La giustizia criminale nell’Italia moderna (XVI-XVII sec.), Patron,
Bologna, 2012, p. 354.
101 Bcp, Sezione Manoscritti, QQ F 234, ff. 617v-619v.
Mediterranea - ricerche storiche - Anno XXI - Aprile 2024
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)