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Stranieri eretici, propaganda e convivenza nell’Italia della guerra dei Trent’anni 523
la dimora del predicante in Livorno, ma con sfacciata arrogantia si
vanta l’introduttione di quell’heresia (chiamata da’ puritani di religione
riformata) in quel porto». La vera preoccupazione, però, consisteva nel
fatto che quei documenti affermavano che ciò avvenisse «non solo con
la permissione del granduca, ma con il suo favore et assistenza, anco
in ordine all’opposizione che ne fanno i ministri del Santo Officio e gli
altri buoni religiosi, e pretendono d’indurla per la porta di Livorno nel
resto dell’Italia».
Il papa si era subito messo in agitazione, così come il vertice della
Congregazione, «veggendo che i nemici della nostra santa fede cercano
ogni strada di spargere in Italia il loro veleno, e di servirsi perciò della
protetione de’ principi catholici, ordinata solo a traffico et al commercio
civile, di calunniare la pietà de’ medesimi principi, e di dare ad inten-
dere che ben presto in tutta Italia si deggia introdurre il libero esercitio
di quell’empia setta». Si ordinava così al vicario di recarsi immediata-
mente dal granduca, e
mostrando a Sua Altezza e la scrittura inglese e la traduttione di essa in ita-
liano, gli rappresenti qual grave peccato sia appresso la Maestà d[i] Dio bene-
detto il permettere in Livorno il ministro predicante inglese, qual pregiuditio
ne possa insorgere a’ catholici dimoranti in quel porto, qual discredito alla
pietà, e solo di Sua Altezza nelle cose della religione, e finalmente qual cattivo
essempio si dia all’altre città d’Italia alle quali per cagione di mercantie appro-
dano i vascelli degli heretici.
Si sarebbe così richiesto al principe di intervenire per ripristinare il
suo buon nome di sovrano cattolico e per garantire che nessuno
potesse «predicarlo protettore della setta di Calvino», operando in
maniera che «in Londra s’accorgano della propria sfacciataggine e non
habbiano più ardire di porre alle stampe così patenti bugie».
Barberini non si limitava all’ordine di intervenire con fermezza
presso il granduca, ma illustrava la situazione proponendo qualche
paragone. «Un ambasciatore inglese che non so per quali affari si porti
a Venezia – raccontava il cardinale – pretese anch’egli di tener seco
ministro predicante, e di fare predicare in sua casa, ma subito che qui
se n’hebbe notitia, Nostro Signore se ne dolse con la Repubblica, et ella
subito operò in maniera che ne cessò la prattica». Analogamente, «in
Napoli et in Genova, dove pure approdano vascelli inglesi, non si è mai
udita cosa di tanto scandalo, né si può credere che solo il granduca
tra i principi italiani voglia dar campo agli heretici di fare in Livorno
quello che in altro luogo d’Italia gli è vietato». Del resto, come dal Par-
lamento di Londra era stato proibito l’ingresso di mercanti cattolici ita-
liani in Inghilterra, allo stesso modo «molto meno si dovrà in Livorno
tollerare (…) i riti di Calvino». La vicenda ancora una volta si chiuse
n. 47 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVI - Dicembre 2019
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)