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                suo contesto e cercarne qualche testimonianza oggi, allargando con
                ciò un’indagine e un’azione divulgativa già avviata con una mostra do-
                cumentaria realizzata a Pellestrina nel marzo di quell’anno .
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                1. Una comunità locale e una questione internazionale

                   Quella  nave,  originariamente  denominata  Raffaelluccia   ribattez-
                                                                          3
                zata  per  quel  viaggio  con  il  termine  ebraico  Kadima  che  significa
                ‘avanti’, compì una delle decine di traversate che nei primi anni dell’ul-
                timo dopoguerra portarono dalle coste italiane verso la Palestina – o,
                più precisamente, verso Eretz Israel, come erano chiamati in ebraico i
                territori del mandato britannico in Palestina – migliaia di ebrei che
                sentivano di non avere più casa in Europa. Fu una parte importante
                della diaspora che portò ebrei europei in ogni parte del pianeta. Gli
                scampati al nazismo, spesso unici sopravvissuti di intere famiglie e
                comunità, divennero pure vittime di una complicata congiuntura in-
                ternazionale.
                   I problemi che si sarebbero dovuti affrontare per gli ebrei liberati
                dal nazismo erano stati però ben individuati già durante la guerra. In
                un articolo pubblicato nel 1943, il direttore dell’Institute of Jewish Af-
                fairs di New York aveva indicato i diversi tipi di assistenza che sareb-
                bero stati necessari a guerra finita, auspicando in particolare l’acco-
                glienza in Palestina di tutti coloro che ne avessero fatto richiesta . La
                                                                               4
                liberazione  dai  campi  di  concentramento  fu  in  effetti  un  processo
                lungo e doloroso per ‘sopravvissuti’ e ‘sfollati’ secondo le definizioni
                giuridiche che si dette l’Unrra . Queste persone si trovarono ammas-
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                sate in sistemazioni di fortuna, gestite da militari, tra i quali fortuna-
                tamente spesso anche soldati ebrei che provvedevano ai primi generi



                   2   Mostra  realizzata  dall’organizzazione  Keren  Hayesod  Italia  con  la  Comunità
                Ebraica di Venezia. A questa mostra, poi esposta in altre città, ha fatto seguito una
                iniziativa più generale con una esposizione, da aprile a giugno 2018, presso il Memoriale
                della Shooah di Milano, Navi della speranza, Alya Bet dall’Italia 1945-1948 (catalogo
                edito da Proedi Editore, contenente saggi di Fiammetta Martegani, Rachel Bonfil, Sergio
                Luzzatto e Marco Cavallarin), ripresa a sua volta da una precedente realizzata nel 2016
                dal Museo Eretz Israel di Tel Aviv con altro titolo (In risposta ad un capitano italiano).
                   3  Nell’elenco dei viaggi clandestini pubblicato su www.polyam.org (sito del Museo
                dell’Immigrazione clandestina e della Marina di Haifa) è indicato il nome Rafael Luccia,
                mentre quello esatto, Raffaelluccia, è riportato in A. Restelli, Il contributo italiano alle
                navi dell’Aliyah Beth 1945-1948, «Quaderni Savonesi», n. 5, marzo 2008.
                   4  D. Stone, La liberazione dei campi. La fine della Shoah e le sue eredità, Einaudi,
                Torino, 2018, p. 100.
                   5  United Nation Relief and Rehabilitation Administration, l’amministrazione delle Na-
                zioni Unite attiva fino al 1947.



                Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVII - Aprile 2020
                ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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