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                potevano essere ben gravi. Secondo i servizi della Marina italiana, l’In-
                telligence Service, per i sabotaggi, a Venezia come anche in un altro
                caso a Genova, si era «verosimilmente [...] servito di personale specia-
                lizzato della X Mas, attualmente al bando e disoccupato per motivi
                d’epurazione» .
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                   Il giorno seguente, con le pompe di bordo e grazie a una prima ri-
                parazione di fortuna, si poté condurre la nave nell’unico bacino di ca-
                renaggio rimasto in efficienza nell’Arsenale di Venezia. Un altro paio
                di giorni, e il quotidiano locale dava finalmente notizia del fatto: pur
                registrando la possibilità che si fosse trattato di una mina magnetica
                vagante, dava anche notizia di una rivendicazione dell’attentato giunta
                all’Associated Press di Roma da parte di sedicenti «difensori della Pa-
                lestina araba» . Due giorni dopo, un altro articolo confermava questa
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                ipotesi  aggiungendo qualche informazione probabilmente ben confe-
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                zionata dai servizi inglesi: la nave era giunta da Sfax (Tunisia) con un
                carico di concimi chimici, ed era rimasta in cantiere per un mese per
                effettuare lavori al sistema di aereazione delle stive, e sarebbe dovuta
                tornare in quel paese per imbarcare fosfati, ma secondo altre voci era
                invece diretta al Mar Nero, per imbarcare in un porto sovietico degli
                ebrei diretti in Palestina.
                   Mentre sulle indagini vi era il massimo riserbo, la nave fu veloce-
                mente riparata ma gli inglesi cercarono di impedire che lasciasse Ve-
                nezia, tanto che la Capitaneria di Porto rifiutò il permesso di salpare.
                L’ufficiale americano dovette allora bluffare: affermò risolutamente che
                il suo armatore non intendeva correre il rischio di un altro sabotaggio
                e che aveva i mezzi per pagare i costi del bacino per tutto il tempo che
                voleva. Le autorità italiane erano ormai a conoscenza di come era an-
                dato il sabotaggio: nelle note riservate tra Stato Maggiore della Marina
                e  Ministro  della  Difesa  esso  veniva  attribuito  a  un  «ufficio  speciale




                   38  Corrispondenza conservata nell’Archivio Storico del Ministero degli Affari Esteri,
                cit. M.G. Enardu, L’immigrazione illegale ebraica verso la Palestina e la politica estera
                italiana, 1945-1948, in «Storia delle Relazioni Internazionali», Leo S. Olschki, Firenze,
                n. 1, 1986, p. 159.
                   39  Quotidiano «Il Gazzettino di Venezia» del 2 settembre 1947: An., Esplosione su un
                piroscafo in un cantiere della Giudecca / Uno squarcio a prua provocato dalla scoppio di
                una bomba. L’attentato sarebbe stato compiuto da “difensori della Palestina araba”. Altri
                messaggi firmati allo stesso modo – riportava l’articolo  ̶  erano già giunti all’Associated
                Press: l’11 giugno con minacce di attentati contro migranti ebrei e poi, il 19 luglio, con
                la rivendicazione dell’attentato che il giorno prima aveva portato all’affondamento nel
                porto di Genova del «piccolo piroscafo Urisso, che si preparava a portare emigranti ebrei
                in Palestina».
                   40  «Il Gazzettino di Venezia» del 4 settembre 1947: An., L’esplosione del “Pancrescent”
                / Gli Arabi vollero impedire il trasporto di Ebrei in Palestina.



                Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVII - Aprile 2020
                ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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