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Da Pellestrina e dalla Laguna di Venezia a Eretz Israel 71
antiebraico» presso l’Ambasciata inglese a Roma . Erano pure preoc-
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cupate per i guai che l’occupazione del bacino di carenaggio avrebbe
causato alle numerose navi in attesa di riparazioni e manutenzioni e
lasciarono dunque partire la Pan Crescent. Questa avrebbe poi imbar-
cato ben 7.620 ma’apilim in Romania sbarcandoli in Palestina il 1°
gennaio del 1948.
Qualche tempo dopo, Aliya Bet si volse di nuovo alla Laguna di Ve-
nezia per un’altra partenza, di quasi ottocento ma’apilim entrati in Ita-
lia da Tarvisio: sarà la volta della nave di cui si è detto all’inizio, la
Raffaelluccia, costruita nel 1921 a Messina. Ecco come Ada Sereni
racconta quella partenza nella notte tra il 5 e il 6 novembre del 1947:
decisi [...] di tornare a Venezia, dove il miraggio di imbarchi facili, nelle tran-
quille acque della laguna, prometteva di compensarci delle difficoltà dei con-
vogli. Un piccolo cantierino, sul canale che da Venezia porta a Chioggia [il
cantiere De Poli, a Pellestrina], mi sembrò un luogo adatto per allestire la
nuova nave che, nel frattempo, avevamo acquistato. [...]
Era stato deciso che l’imbarco sarebbe avvenuto presso il cantiere stesso.
Le corriere sarebbero dovute giungere, a due a due, attraverso stradine di
campagna fino alla confluenza dei fiumi Brenta e Gorzone [cioè nella zona di
Ca’ Pasqua davanti a Brondolo, all’estremo sud della Laguna]. Di lì, cinque
grossi barconi coperti avrebbero trasportato i passeggeri, attraverso la laguna,
fino al luogo d’imbarco.
La topografia della zona era stata attentamente studiata, ogni stradina di
campagna percorsa più volte, perché gli autisti non si perdessero di notte, ma
nessuno di noi si era accorto che un ponticello non era sufficientemente largo
per il passaggio delle corriere. Quando di notte i primi pullman giunsero al
ponte, l’impedimento li arrestò. Gli autisti, non conoscendo altra via nella
campagna, rimasero fermi sul posto, incerti sul da farsi. Nel frattempo arriva-
rono altre corriere e poi altre ancora; la luce dei fari fece accorrere i contadini,
ai quali fu detto che un convoglio di turisti aveva perduto la strada ed essi si
offersero gentilmente a far da guida fino a un ponte, sette chilometri più a
valle e di lì mostrarono la via da seguire.
Il convoglio arrivò con due ore di ritardo e tutto in una volta; le ottocento
persone scesero contemporaneamente, i centoventi bambini cominciarono a
piangere tutti insieme: luci e chiasso attrassero gente.
Stavolta non potevo far credere, a chi le vedeva, che quelle persone fossero
turisti americani, amanti della luna e delle stelle e dissi chiaramente che erano
profughi ebrei che tentavano di raggiungere Eretz Israel.
41 Si tratta di un appunto datato 05.09.1947, conservato presso l’Archivio Storico
del Ministero degli Affari Esteri (M. Toscano, La «Porta di Sion». L’Italia e l’immigrazione
clandestina ebraica in Palestina (1945-1948 cit., p. 231). La nota sottolineava anche che
con la prossima entrata in vigore del trattato di pace e non potendo poi la Gran Bretagna
chiedere particolare cooperazione all’Italia, era da prevedere l’intensificarsi di azioni del
genere.
Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVII - Aprile 2020
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)